La più recente è l’interesse da parte dell’imprenditore Andrea Radrizzani nei confronti della Sampdoria. Ma c’è anche la notizia dei diritti della Lega Calcio Serie A, contesi da una serie di fondi di private equity. E siamo solo ai fatti più recenti che hanno riguardato il mondo del calcio, sempre più intrecciato con quello della finanza.
Tralasciando però la questione dei diritti, il cui flusso di ricavi è abbastanza chiaro, a guardare i conti delle società di calcio, italiane e non solo, viene da chiedersi come mai il settore interessi tanto ai fondi di private equity.
Ok, imprenditori, individui super ricchi o nazioni ricche di petrolio potrebbero voler comprare le squadre di calcio per la notorietà, il fascino e la passione che questo sport suscita, uno sport seguito da miliardi di fan e che in qualche modo, nonostante gli scandali, la violenza e le evidenti storture del sistema, rimanda sempre un’immagine positiva. Ma i fondi di private equity che hanno lo scopo primario di generare ritorni, perché guardano a uno sport che complessivamente non è più così redditizio?
Il Washington Post prende ad esempio la Premier League inglese. Le venti squadre di élite hanno riportato perdite complessive ante imposte di 1,66 miliardi di sterline nelle stagioni inficiate dalla pandemia che si sono concluse nel 2020 e nel 2021. La lega nel suo complesso paga salari insostenibili, sulla base della stima dell’organismo di regolamentazione calcistica europeo che questi costi non dovrebbero superare il 70% del fatturato se i club vogliono pareggiare i conti. Il presidente della La Liga spagnola ha denunciato la spesa record per i trasferimenti finanziata dai ricchi proprietari delle squadre di Premier League che perdono denaro come “doping” finanziario.
In Italia, nella Serie A, i primi sette club (Juventus, Milan, Inter, Roma, Lazio, Napoli e Fiorentina) hanno perso, stando a un calcolo di Pwc, 3,4 miliardi negli ultimi dieci anni. Nel dettaglio, dal 2013 a oggi l’Inter ha sfiorato il miliardo di euro di perdite (-963,8 milioni), seguita da Milan (-910,7 milioni) e Roma (-834 milioni), mentre poco meglio ha fatto la Juventus (-591,3 milioni).
Eppure RedBird Capital Partners dopo aver comprato una quota del Liverpool FC nel 2021, quest’anno si è aggiudicato il Milan. All’estero, per fare qualche esempio, Clearlake Capital si è unita al miliardario Todd Boehly nell’acquisizione da 2,5 miliardi dell’anno scorso del Chelsea Football Club, che ha battuto il record di trasferimento britannico a gennaio e ha avuto un rapporto tra stipendi e ricavi del 76% nel 2021. Il Crystal Palace Football Club (rapporto tra stipendi e ricavi: 95%) è di proprietà parziale del co-fondatore di Apollo Global Management, Josh Harris. Wes Edens, fondatore di Fortress, è co-proprietario dell’Aston Villa Football Club, che ha accumulato oltre 200 milioni di sterline di perdite negli ultimi quattro anni.
Di esempi ce ne sarebbero altri. Ad esempio il Manchester United conta una capitalizzazione di mercato di circa 3 miliardi e un debito netto di circa 833 miliardi. Il club ha riportato tre perdite annue ante imposte consecutive per un totale di 194 milioni, su un fatturato che è aumentato solo dell’1,8% nei cinque anni fino al 30 giugno. Se non riesce il Manchester United, fra i club più importanti e noti al mondo, a ottenere profitto quali speranze possono avere gli altri (soprattutto italiani)?
E allora come si giustifica l’interesse dei fondi?
Una ragione potrebbe essere la stessa che ha portato i fondi a investire in altri settori, cioè la tanta liquidità ancora in circolazione. Siamo in un periodo di febbre dell’oro per l’industria calcistica europea e lo si nota guardando il valore dei diritti televisivi che sale in modo incessante. In questi anni dunque conquistare una quota di mercato è fondamentale; i profitti, forse, sono qualcosa di cui preoccuparsi in seguito.
Poi c’è il potenziale. Per quanto ormai sia chiaro che le nuove generazioni seguono meno il calcio rispetto a quelle di venti o trenta anni fa, le nuove tecnologie e i sistemi di fruizione e godimento delle partite (ad esempio in 3D?) potrebbero aprire scenari commerciali interessanti.
Di fatto è come se l’industria dovesse solo risolvere la sua struttura di costi disfunzionale, perché il potenziale commerciale c’è ed è particolarmente significativo.
E poi l’industria del calcio, socialmente e culturalmente importante, potrebbe essere considerata too big and too popular to fail. È uno sport troppo seguito e comune, che è ormai diventato un tale riferimento culturale che appare improbabile a chi scrive che continui a precipitare in un buco nero di spese fuori controllo e perdite. In qualche modo non sarebbe assurdo aspettarsi che questa industria venga riportata su un percorso sostenibile.
In sostanza, gli investimenti nei club di calcio non sono solo basati su una valutazione finanziaria razionale. Sono guidati anche dall’attrazione emotiva e dal fascino associato allo sport più popolare del mondo. Gli investitori sperano di capitalizzare sul prestigio e sull’influenza che derivano dalla proprietà di una squadra di calcio di alto profilo. Tuttavia, nonostante i rischi finanziari e le perdite attuali, ci sono anche opportunità di generare profitti nel lungo periodo, soprattutto se l’industria del calcio riesce a risolvere la sua struttura di costi e a sfruttare appieno il suo potenziale commerciale.