La mossa di Unicredit su Commerzbank – trovate due articoli nella sezione articoli della nostra newsletter settimanale – ha come si dice in gergo giornalistico “fatto notizia” e non a caso ha aperto i principali giornali economico-finanziari italiani.
I motivi dell’entusiasmo generale verso tale operazione sono facilmente intuibili, primo fra tutti perché è foriera di un potenziale risiko bancario di cui in Italia appare regolarmente più sulla stampa che nei fatti. Per di più si tratterebbe di un matrimonio crossborder fra istituti bancari, anche questo tanto auspicato quanto di difficile attuazione per ragioni regolamentari e politiche. Ciò è ancor più significativo se pensiamo alla tendenza nazionalista che sta pervadendo non solo nelle scelte dei vari governi – per ultimo il blocco delle frontiere invocato dalla Germania – ma anche nel mondo del business, ad esempio nella catena di fornitura a seguito della pandemia. Tendenza che è stata evidenziata anche dall’ex premier ed ex governatore della Bce Mario Draghi nel suo famoso rapporto, nel quale la indica come forse uno dei mali peggiori dell’Europa.
Ed è vero quanto ha scritto in un editoriale su MF di giovedì 12 settembre il professor Marcello Clarich riprendendo il rapporto, cioè che manca l’infrastruttura regolamentare nonché la voglia politica affinché in Europa si creino campioni europei.
Allora il punto quale è? Che nonostante l’attuale regolamentazione, a partire da quelle sulla concorrenza, non favorisca le aggregazioni tra aziende – banche comprese – di nazioni diverse seppur tutte all’interno dell’area euro e nonostante la politica si metta di traverso quando uno “straniero”, benché cugino, mette le mani sui nostri gioielli imprenditoriali (tranne quando siamo noi a venderli), alla fine la direzione sembra tracciata. Anche perché, se ci ragioniamo, davvero pensiamo di competere con i colossi cinesi o statunitensi o con la potenza finanziaria dei paesi del Medio Oriente? Ovviamente no. E ciò vale non solo per le banche ma anche per tutti gli altri settori della finanza, dalla consulenza agli investimenti. Proprio ieri si è concluso l’Ipem di Parigi, cioè l’evento che unisce in un solo palazzo dei congressi tutta l’industria del private capital internazionale e l’idea dei tanti fondi e investitori italiani presenti era proprio questa, cioè che restando solo in Italia è praticamente impossibile rimanere competitivi nel medio o lungo periodo.
In questo senso, l’operazione Uni – Commerz è un’occasione per le istituzioni europee, tedesche e italiane per uscire dalla propaganda nazionalista e impostare la base per nuove operazioni che creino soggetti in grado di competere con le realtà extra Ue. Sapranno sfruttarla? Purtroppo, così a sensazione, il timore è che non ci riescano. O almeno non ci riusciranno finché la priorità sarà il consenso e lo sguardo solo di breve termine.