Il decreto passa, ma il governo barcolla. L’Aula del Senato ha confermato la fiducia al governo posta sul Dl aiuti bis. I sì sono stati 172, i no 39, nessun astenuto. Il M5s non ha partecipato al voto risultando assente alla prima e alla seconda chiama, come aveva annunciato il leader del partito Giuseppe Conte.
Il premier Mario Draghi è così salito al Quirinale dopo il voto al Senato per poi annunciare la sua volontà di dimettersi. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha però respinto le dimissioni del presidente del Consiglio Mario Draghi, invitandolo a riferire alle Camere mercoledì. Si apre così uno scenario di crisi di governo e incertezza politica, una situazione che potrebbe essere un terremoto per l’economia viste le varie partite in ballo.
Pnrr, seconda tranche
Oltre al profondo rosso delle borse, il momento è talmente delicato che l’addio di Draghi all’esecutivo potrebbe costare molto al paese. Proprio in termini economici. Portati in salvo i 10 miliardi del decreto aiuti, ci sono in ballo i 24,1 miliardi di euro della tranche estiva del Pnrr. L’Italia, infatti, è stata uno dei primi paesi ad aver raggiunto tutti i 45 obiettivi del Pnrr relativi al primo semestre 2022 facendo così richiesta di pagamento della seconda rata.
La crisi di governo potrebbe rallentare tutta la macchina amministrativa con i provvedimenti in balia della campagna elettorale per le prossime elezioni. Infatti, l’esame degli obiettivi non si ferma ed entro fine anno si devono raggiungere ulteriori 55 traguardi, per avere così altri 21,8 miliardi. Si incassano i soldi di Bruxelles solo se si rispetta la tabella di marcia. Per questo adesso in una fase cruciale, perché superato il momento iniziale servono opere concrete – dalla sanità al digitali – per cui la velocità è condizione essenziale. Senza una macchina burocratica rapida ed efficiente la situazione si complica non poco.
Il rebus della partecipate
Un’altra questione su cui eventuali elezioni anticipate potrebbero incidere sono le poltrone delle partecipate. Proprio l’ex Ministra della Salute del M5S Giulia Grillo in un’intervista a Repubblica ha sottolineato che su queste nomine “dovremmo farci sentire di più”. In ballo, infatti, ci sono ben 61 poltrone tra vertici e consiglieri di amministrazione dei board delle 6 grandi quotate in Borsa. Si tratta di Enav, Enel, Eni, Leonardo, Poste e Terna. Ma nella primavera del 2023 scadranno i consigli di Amco, Consap, Consip, Sport e Salute e Sogin (altre 16 poltrone).
La nomina del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale nelle società partecipate dal Mef, le cui azioni sono ammesse alla quotazione nei mercati regolamentati (Eni, Enel, Leonardo, Enav, Poste italiane, Banca Monte dei Paschi di Siena), avviene mediante il meccanismo del voto di lista, ovvero i voti ottenuti da ciascuna lista vengono divisi per il numero progressivo che contraddistingue ciascun candidato della lista.
Va ricordato che il board di Enel era stato nominato nel 2020 dal secondo governo Conte a maggioranza Pd-5Stelle. Il Conte II aveva riconfermato anche i vertici di Eni, Leonardo e Poste. E sempre il secondo governo Conte aveva scelto anche Stefano Donnarumma per Terna e Paolo Simioni per Enav. Se i partiti stavano scaldando i motori per le nuove nomine, un eventuale caduta dell’esecutivo e un voto anticipato potrebbero sicuramente cambiare le carte in tavola anche in questa partita.
Incognita manovra
Oltre i decreti aiuti, gran parte dei provvedimenti che cercano di contrastare l’inflazione, la crisi energetica, e gli effetti del conflitto in Ucraina si giocano nella partita della prossima manovra economica. Una legge di Bilancio che si preannunciava complessa anche senza una crisi di governo. Questo per le divergenze in materie di cuneo fiscale, c’è chi chiede molto spazio per il taglio alle tasse che pesano sui lavoratori. Ma sul tavolo rientrano anche le pensioni e una soluzione da trovare per tempo vista la fine di Quota 102 (e quindi potrebbero servire 67 anni per lasciare il lavoro).