È stata una settimana intensa su tanti fronti, quella appena trascorsa, non fosse altro per l’annuncio del patto tra Leonardo Del Vecchio, fondatore di Luxottica, e Francesco Gaetano Caltagirone su Generali, mossa che ha eccitato – e spaventato – gran parte degli osservatori nel salotto finanziario per eccellenza.

Ma è stata anche la settimana dell’evento principale del settore del risparmio gestito, il Salone del Risparmio, nonché del rilascio dei dati di Aifi, l’associazione del private capital, sull’andamento del comparto nel primo semestre 2021.

La concordanza temporale dei due eventi è totalmente casuale ma entrambi condividono una chiave di lettura, che è quella dell’investimento in economia reale e del rapporto con il mondo del risparmio.

Dei dati rilasciati dall’associazione guidata da Anna Gervasoni la vera notizia, al di là del boom degli investimenti dopo la frenata del 2020, è l’ammontare della raccolta nei primi sei mesi del 2021: 2,8 miliardi di euro rispetto ai 960 milioni del 2020 e i 435 milioni del 2019. Una cifra stratosferica che diventa ancor più significativa se consideriamo le fonti. Il 35% della raccolta proviene dai fondi pensione. Nel 2016 la quota degli istituzionali era pari all’8%. Considerando che il mondo degli istituzionali conta un patrimonio di 270 miliardi di euro, il 16,3% del Pil italiano, non è un caso che ora che questi soggetti hanno iniziato a guardare fuori dal mercato borsistico il valore della raccolta dei fondi sia schizzato alle stelle, dunque.

Cosa c’entra il risparmio gestito? C’entra non solo perché gli investimenti alternativi sono stati uno dei temi del dibattito emersi al Salone ma anche perché il mondo dell’asset e wealth management condividono le stesse pressioni e le stesse esigenze degli investitori istituzionali: da un lato sono chiamati a più riprese a investire in economia reale, cioè le imprese. Dall’altro sono in cerca di rendimenti che oggi la Borsa non è in grado di offrire. Il private market sembra essere lo sbocco naturale per soddisfare entrambe le esigenze.

Tuttavia, il settore del risparmio e gli investitori istituzionali non sono la stessa cosa.

I fondi pensione e le casse di previdenza hanno il tempo necessario per investire in private capital e mitigare il rischio, innanzitutto. E l’investimento in economia reale è per loro non solo la soluzione più logica (visto che sono i lavoratori i loro clienti) ma anche quella socialmente più accettabile e auspicabile.

Oggi molti gestori hanno lanciato il loro fondo di private equity o hanno investito perché in cerca di rendimenti; tuttavia, attribuire all’industria il ruolo sociale di supporto all’economia reale rischia di essere controproducente, perché distoglie l’attenzione sulle vere esigenze dell’industria. Certo, ci sono strumenti come i Pir alternativi che hanno proprio questa funzione, ma rientrano nel novero di un’offerta più ampia e non possono essere l’unica soluzione.

L’industria del risparmio, ha ricordato ad esempio Alessandro Gandolfi, Country Head Italy di PIMCO intervenendo a una conferenza, non ha come obiettivo quello di far crescere l’economia. La mission degli asset manager è far guadagnare i loro investitori, rendendo chiaro il livello di rischio e optando per la soluzione più efficiente. E sul fatto che il retail sia un investitore adatto per questo tipo di strumenti ci sarebbe molto di cui discutere.

Per far crescere le imprese e l’industria del private capital serve altro. Alle prime serve ad esempio un ecosistema favorevole fatto di incentivi, cultura aziendale e supporto, alla seconda serve il salto di qualità che vada verso l’estero. L’asset management va per la sua strada e questo è il fatto. Se sia giusto o sbagliato è tutto un altro discorso.

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