“Siamo portatori di equity. E anche in momento complicati come quello che il mercato sta attraversando, non dobbiamo dimenticare il valore che è in grado di creare”. La fotografia di Carlo Mammola, senior advisor e co-head of Italy Montefiore Investments e di Riccardo Mulone, country head e head of investment banking Ubs Italy, al settore del private equity e dell’m&a, durante l’evento Finance for Breakfast al Nh Collection Milano President organizzato da Dealflower in collaborazione con SS&C Intralinks, comincia così.
Un settore che può apparire bloccato. In crisi. Meno operazioni rispetto all’anno scorso almeno nei primi nove mesi del 2023 in Italia. Meno volumi. E’ anche vero che il 2022 è stato l’anno dei record. Il calo, insomma, era prevedibile, anche in virtù del fatto che l’Italia è fatta di piccole e medie imprese. Tradotto: le operazioni e le occasioni vanno scovate. E forse, come fa notare il direttore di Dealflower Laura Morelli che ha moderato l’evento, è sempre stato così.
“E questo è il motivo per cui sono ancora molto curioso e interessato a ciò che accade -prende la parola Carlo Mammola -. Del mondo delle imprese italiane difficilmente sarò mai saturo. L’equity non è la panacea di tutti i mali ma è uno strumento di grandissima valenza e utilità. Rende possibili verti sviluppi e progetti, porta governance, modernità, metodo, logica nel gestire il business e svilupparlo”.
Private equity e liquidità, qualche numero
Qualche numero, snocciolato sempre da Mammola: sei miliardi di euro di patrimonio finanziario per quanto riguarda l’Italia, la cui liquidità oscilla tra il 20% e il 25%. Nel mondo si può stimare un mercato da 6.000 miliardi di dollari, denaro già disponibile a fronte di diverse decine di centinaia di miliardi per l’Italia. E questo è uno dei motivi per cui l’Italia stessa resta ricchissima di progettualità imprenditoriali.
Cosa va cambiato? Il sistema: “Per funzionare deve essere fluidificato. Agli albori eravamo noi a essere chiamati. Ora i ruoli si sono ribaltati. C’è un gap di mentalità perché il modello imprenditoriale italiana è relativamente chiuso. Forse oggi un po’ meno ma rispetto ad altri paesi i capitali circolano con meno frequenza. Dobbiamo spiegare al meglio come l’equity sia in grado di portare benefici, con l’apporto degli advisors”.
Cogliere il momento? Di pancia verrebbe da rispondere che questo non è il momento giusto. Ma Mammola non è d’accordo: “Proprio perché è un momento di stasi dovrebbe scattare il ‘carpe diem’. Rinviare non ha necessariamente senso. Muoversi quando tutti sono fermi, per il private equity e non solo, può rivelarsi una strategia vincente”.
“Approfittare dell’immobilità degli altri”
D’accordo con lui Riccardo Mulone: “Approfittare dell’immobilità degli altri è senz’altro uno degli aspetti chiave. E gli advisors forse sono i soggetti che più di altri hanno il compito di spiegarlo. Le cose più belle che sono riuscito a realizzare in questo settore sono arrivate nei cicli peggiori”.
Si diceva delle variabili: inflazione, rialzo dei tassi, guerre, la crisi del real estate in Cina. “Preoccupano i conflitti, e con essi l’ambiente. Sui tassi e sull’inflazione forse siamo al punto di svolta e quindi le banche centrali potrebbero aver fatto il loro dovere. Serve innanzitutto lungimiranza, capire quando e in che modo andranno a risolversi questi fattori e pensare nel lungo termine, perché gli ‘shorternisti’ sono forse proprio quelli che stanno contribuendo maggiormente a creare questa situazione di instabilità”.
E da qui si impara un altro aspetto importante. Continua infatti Mulone: “Quando passa la turbolenza e ci si rimette in quota potremmo aver imparato una lezione importante, perché saremo più pronti alle turbolenze successive. Quello che conta è non ridurci a prendere l’ultimo aereo: ho visto imprenditori e gruppi che per non perdere l’ultimo milione di euro sono stati capaci di distruggere il loro intero patrimonio”.
Il ruolo dei fondi in Italia: “Paese povero di gente ricca”
C’è meno leva. I finanziatori hanno meno disponibilità. Il processo di creazione di valore, per quanto sia ormai massimizzato, è minore rispetto a tanti anni fa. Prosegue Mammola: “Il modello con cui siamo cresciuti e che abbiamo accettato e fatto nostro resta l’unico a disposizione. Che poi è quello capitalistico e occidentale. Una società che non sta ferma, progredisce fino a creare valore per se stessi e per gli altri, alimentando lo sviluppo. Un modello in crisi ma a cui non c’è alternativa. I criteri Esg lo hanno reso più moderato, meno esasperato. Probabilmente migliore. L’obiettivo è riaffermare ancora di più questo modello e i fondi sono in grado di garantire solidità in questo senso, e modernizzare la capacità di fare impresa”.
Riccardo Mulone definisce l’Italia un “Paese povero di gente ricca”. E allora dove mettere i soldi in questo momento? “Verso l’illiquido, senza dubbio. Ora è un momento difficile per la raccolta ma nel lungo termine si può investire tantissimo”.
Il country manager di Ubs Italy guarda anche alla Borsa: “Deve essere vibrante come i suoi investitori. Il mercato americano, che conosco molto bene, ha la caratteristica di essere molto profondo perché composto da società molto grandi. Il mercato europeo al contrario è molto frazionato e questo può essere un impedimento in più. L’Italia è un Paese di conquistatori. Deve esserlo perlomeno. Il 5% di business si fa in Italia e il resto è fuori. Prendere capitali all’esterno e portarli all’interno ci darebbe una profondità importante. Come facemmo noi di Ubs nel 2015 con Ferrari, in un periodo in cui veniva ritirato ogni Ipo possibile. Ma Ferrari era troppo grande per rimanere fuori”.
Private equity e il ruolo dello Stato
“La spinta del Pubblico? Il suo compito è uno, sostanzialmente: intervenire tutte le volte che il mercato non riesce ad agire. Colmare il buco, ma solo finché il mercato stesso non riesce ad arrivare a fare la sua parte -questo è il commento di Carlo Mammola-. A quel punto il pubblico deve ritirarsi. E’ necessario che lo Stato interpreti al meglio questo ruolo di agevolatore e di fluidificatore”.
Un esempio: le micro imprese. In italia ce ne sono tantissime: ” Chi se ne occupa? Nessuno, al contrario di Inghilterra, Germania e Francia, dove bisogna ammettere che in percentuale sono molte di meno. Impariamo a imitare dagli altri. La Francia ha usato gli extraprofitti delle aziende Pharma nel periodo Covid per sostenere i settori più colpiti dalla pandemia come il turismo. E oggi l’attualità ci racconta degli extraprofitti delle nostre banche per il rialzo dei tassi”.
Mulone aggiunge: “La catena del valore parte frequentemente dalle imprese molto piccole, che spesso però si fanno spaventare da un apparato eccessivamente legiferato e pieno di burocrazia. Così per le aziende diventa soffocante. Altrove è più semplice: Olanda e Lussemburgo, per fare qualche esempio, vantano un processo molto più smaliziato. Le nostre aree grigie sono troppe, e così facendo il sistema si atrofizza”.