Il Private equity globale continuerà a crescere nel lungo termine, anche a fronte di una improvvisa inversione di tendenza lo scorso anno determinata dalle turbolenze economiche e dall’incertezza dovuta all’aumento dell’inflazione e dei tassi di interesse. É quanto emerge dal quattordicesimo rapporto annuale sul Private equity globale di Bain&Company.
Nonostante il brusco rallentamento delle operazioni, delle exit e della raccolta di fondi registrato intorno a metà anno e innescato da una serie di rialzi dei tassi di interesse da parte della Fed in risposta al forte aumento dell’inflazione, il 2022 si è rivelato comunque il secondo anno più forte nella storia del Private equity. Sebbene la battuta d’arresto di giugno abbia contribuito a rallentare drammaticamente quella che è stata una corsa decennale del settore, lo studio di Bain evidenzia come i fondamentali del Private equity rimangano solidi e resilienti, differentemente da quanto avvenuto con la crisi finanziaria. Il Private equity potrebbe diventare ancora più attraente per gli investitori che soffrono per i limiti dei mercati pubblici.
“Finora, anche quest’anno, abbiamo registrato un continuo rallentamento dell’attività ma l’attrattività a lungo termine del private equity per gli investitori è una certezza”, ha spiegato Roberto Fiorello, senior partner e responsabile italiano del private equity di Bain&Company. “Con la ripresa dell’attività di deal nel 2023, il settore continua a essere ben posizionato per una crescita a lungo termine. Nonostante la contrazione delle operazioni, delle exit e dell’attività fundraising, il 2022 è stato il secondo anno migliore della storia. L’incertezza del mercato globale è innegabile, ma si tratta di un problema che il private equity ha già affrontato e superato in passato”.
Le cifre del Private equity
Il Private equity ha chiuso l’anno con una cifra record di 3.700 miliardi di dollari di liquidità: così come accaduto durante la crisi i principali operatori continueranno a cercare operazioni in cui impegnarsi, pur tenendo conto delle condizioni macroeconomiche più deboli.
“Mentre il 2022 ha visto un rallentamento a livello globale del private equity, con una diminuzione del valore totale dei deal del 35%“, prosegue Fiorello, “in Italia il 2022 è stato un anno record con un valore di buyout di 64 miliardi di dollari, contro i 36 registrati l’anno precedente. Come negli anni precedenti, i deal italiani lo scorso anno hanno riflettuto l’ampio spettro di settori economici del Paese; oltre ai trasporti, tra i settori spiccano il tech, l’healthcare, il comparto consumer e gli industriali”.
Sebbene i mercati siano ovviamente incerti, i dealmaker dovranno per forza mettere a segno operazioni in linea con le condizioni di mercato. La chiave del successo sarà impegnarsi in deal in cui l’esperienza e la fiducia sono più elevate. Dallo studio emerge che in passato nei periodi di crisi, gli investitori che hanno seguito questa strategia hanno generato rendimenti molto elevati, quindi è importante per tutti gli stakeholder del settore proseguire in questa direzione.
Il Private equity è pronto a rifiorire
Dopo aver segnato nuovi record nel 2021, con operazioni completate per un valore di 1.000 miliardi di dollari, a coronamento di uno straordinario di ciclo di crescita del settore durato 12 anni, l’improvviso rallentamento dell’attività di Private equity nel 2022 ha visto il valore globale delle acquisizioni calare bruscamente del 35%, per chiudere l’anno a quota a 654 miliardi di dollari. Il numero complessivo delle operazioni si è contratto del 10%, con circa 2300 deal grazie soprattutto allo straordinario slancio della prima metà dell’anno. Il forte calo dell’attività e del valore delle transazioni nel secondo semestre è stato avvertito in tutte le regioni e nella maggior parte dei settori, con un particolare ribasso in Asia, a causa delle ripetute chiusure del mercato dovute alle misure per il contenimento del Covid.
La riluttanza delle banche a concedere prestiti per grandi operazioni di leva finanziaria, a partire dalla metà dell’anno con l’aumento dei tassi di interesse e l’intensificarsi dei timori economici, ha determinato l’andamento del mercato nel 2022. Negli Stati Uniti e in Europa questo tipo di prestiti è diminuito del 50% a 203 miliardi di dollari. A ciò è seguita una maggiore attrattiva delle operazioni più piccole, che hanno rappresentato una quota maggiore delle transazioni totali e degli add-on che nel 2022 hanno costituito il 72% di tutti i buyout nordamericani per numero di operazioni, in quanto investitori e fondi hanno perseguito strategie di buy and build.
L’inversione di tendenza del Private equity del 2022 ha colpito anche gli investimenti in growth equity e in venture late-stage, segmenti in precedenza molto attivi. Il valore complessivo delle transazioni in questi segmenti è sceso del 28% a 644 miliardi di dollari. Le exit si sono contratte in misura maggiore rispetto all’attività di investimento: le dismissioni sostenute da buyout sono scese del 42% a 312 miliardi di dollari. I cali riflettono la completa chiusura del mercato delle Ipo in seguito al forte down dei titoli azionari, nonchè il calo del 58% delle operazioni tra sponsor. Le vendite ad acquirenti strategici sono state superiori alla media quinquennale soprattutto grazie alla tenuta degli utili, ma hanno comunque chiuso il 2022 con un calo del 21% rispetto all’anno precedente.
Sebbene la ricerca evidenzi come le prospettive per la raccolta dei fondi di private equity rimangano estremamente ottimistiche, anche la nuova raccolta di fondi dello scorso anno ha risentito del deterioramento delle condizioni e della fiducia (-10% rispetto ai livelli del 2021 e 1.300 miliardi di dollari).
Investitori individuali: nuovo volano di crescita per il Private equity
Gli investitori individuali e il loro patrimonio rappresenteranno il nuovo grande motore di crescita del Private equity. Secondo Bain, gli investitori retail detengono circa il 50% di tutti i patrimoni globali in gestione, con solo il 16% del capitale in fondi d’investimento alternativi: questo segmento ha un potenziale significativo per il Private equity.
“Gli individui con un elevato patrimonio netto e i loro consulenti”, spiega ancora Fiorello, “sono sempre più attratti dagli investimenti alternativi, alla ricerca di opzioni di diversificazione e di rendimenti migliori di quelli offerti dai mercati azionari e obbligazionari tradizionali. I fondi stanno già esplorando i mercati di investimento retail e si stanno muovendo rapidamente, costringendo il resto del settore a scegliere se far parte del gioco o meno”.
Nel frattempo i grandi gestori alternativi stanno facendo passi avanti e molti hanno lanciato fondi che consentono agli individui più facoltosi di accedere a classi di attività alternative; le banche e i consulenti stanno esplorando le opzioni per i clienti e le fintech stanno lavorando per adattare soluzioni a questa domanda e per semplificare il processo.
Le prossime sfide: transizione energetica e Web3
La combinazione di tassi di interesse più elevati, destinati a perdurare, e pressioni inflazionistiche rappresenta una duplice minaccia per i fondi di Private equity e i general partner e crea un nuovo imperativo per questi operatori: creare valore attraverso il miglioramento dei margini e la crescita organica, rispetto al passato, quando i player potevano fare affidamento su espansione di multipli più elevata.
Rispetto a queste sfide legate al contesto, il Private equity si trova ad affrontare anche altri due grandi mutamenti. Innanzitutto la transizione energetica globale: la pressione sulle società di private equity per la decarbonizzazione dei portafogli si è intensificata nel 2022, con le autorità di regolamentazione, i consumatori, i clienti B2B e gli investitori che hanno intensificato le richieste di cambiamento. Al tempo stesso, la corsa allo sviluppo di fonti energetiche alternative e di altre soluzioni a basse emissioni di carbonio sta dando vita a una opportunità generazionale per mettere il capitale al lavoro, che deve essere coltivata dai fondi sviluppando competenze e network.
Anche le tecnologie del Web3 sono destinate a rappresentare nei prossimi 10 anni un trend di vasta portata in grado di impattare in modo significativo sulle imprese e sui mercati: per molti fondi è il momento di costruire un know-how su questo tema e valutare come sfruttare i cambiamenti tecnologici.
“Per le società di Private equity”, conclude Fiorello, “sarà imprescindibile riuscire ad adattarsi a queste nuove pressioni macroeconomiche, se vogliono vincere in questo difficile contesto. Gli operatori dovrebbero cercare di puntare su gruppi di clienti e settori con una minore sensibilità ai prezzi e concentrarsi maggiormente sulla crescita organica del business, alla luce delle sfide legate alle tecnologie emergenti, ai trend demografici e alla crescita più debole del Pil”.