Chi fa private equity in Italia sa quanto sia difficile fare raccolta nel nostro paese e per ragioni ormai note che vanno dalla scarsa propensione verso questa asset class degli investitori istituzionali, tradizionalmente restii al rischio e abitudinari negli investimenti in titoli, fino alla dimensione del mercato. Per fare un paragone, nei primi nove mesi del 2023 in Germania i private equity hanno raccolto 2,9 miliardi di euro. In Italia in sei mesi 319 milioni, tra l’altro in calo del 23% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, quando era stata pari a 410 milioni.
E non è un problema solo per i gestori nazionali. “In Italia vedo molta apertura da parte degli investitori istituzionali a nuove idee e proposte”, spiega a Dealflower Jonathan Aiach, business development director del fondo CapMan Group, private equity finlandese con 5 miliardi di asset quotato alla Borsa di Helsinki. Tuttavia, aggiunge, “il problema, specialmente per chi come noi investe prevalentemente in infrastrutture, è la territorialità: per fare un esempio, un’assicurazione ci ha detto che investe solo in paesi in cui è presente, e nelle infrastrutture ciò è ancora più sentito. In sostanza, ascoltano volentieri e c’è interesse ma essere stranieri non aiuta”.
CapMan ha avviato la raccolta del Fondo 2 nell’aprile 2022, con chiusura quest’anno, un target pari a 400 milioni e un ritorno atteso del 10%.
A che punto siete?
Abbiamo raccolto 280 milioni di euro e abbiamo fatto tre investimenti per 140 milioni, compreso un add-on. Si tratta nel dettaglio di un primo progetto greenfield per la costruzione di pannelli solari in Finlandia. Il solare nei Nordics è un mercato nuovo e si sta sviluppano molto velocemente in alcune zone, soprattutto in Svezia. Il secondo investimento riguarda invece il settore navale specializzato nel trasporto di salmone dall’allevamento al porto, che è considerato infrastruttura perché i contratti sono di lungo termine e vanno dai 5 ai 10 anni, e infine abbiamo acquisito datacenter in Olanda e Danimarca.
Quanto avete raccolto in Italia?
Circa il 10% di quanto raccolto finora, cioè 25 milioni.
In Finlandia e in generale nei Nordics è più semplice fare raccolta? Ci sono differenze con gli investitori italiani?
Credo che siano meno di quante possano sembrare. Ci sono tematiche come la dimensione del mercato del private equity o livello di sofisticatezza nella selezione delle varie asset class ma nel complesso non mi sembra ci siano differenze abissali. Gli istituzionali nei Nordics sono ad esempio particolarmente attenti alle fee mentre in Italia l’investimento è più relationship driven o legato a un brand forte. La preoccupazione è per i prossimi mesi poiché con il ritorno dei rendimenti sul mercato questi soggetti non hanno neanche più bisogno di investire negli alternativi. Occorrerà vedere che effetti si avranno sul fundraising.
Contate di investire anche in Italia?
Non escludiamo acquisti in Italia ad esempio qualora dovessimo cercare degli add-on. Tuttavia per un player come il nostro è molto difficile essere competitivi sul mercato italiano perché non abbiamo il network e quindi troviamo meno facilmente società target. Possiamo investire fino al 20% del fondo fuori dalla zona nordics quindi possiamo investire anche in questo paese, ma sarà una piccola percentuale sulla base della nostra specializzazione e della nostra conoscenza del mercato.
In che tipo di infrastrutture investite nel complesso?
Investiamo in infrastrutture in diversi settori tra i quali energia, trasporti, utilities e digital. Il focus è su piccole e medie imprese con ticket medio pari a 20-50 milioni e situate sopratutto nei nordics. La strategia è quella di avere accesso a deal in coinvestimento e/o primari, sia di minoranza sia di maggioranza, per poi proseguire con buy and build e operational improvements.