Leader di mercato capace di competere a livello globale. Aggregatore che gioca a tutto campo, senza paura di confrontarsi con player asiatici e nordamericani. Non solo quotata, ma public company. Gruppo industriale attento alle esigenze dei territori dove si trovano le fabbriche. In prima linea sulle tematiche Esg. Prysmian è tutto ciò che un gruppo italiano dovrebbe essere. Purtroppo, però, è un’eccezione. Una mosca bianca in un Paese in cui prevale il nanismo delle aziende. E dove i gruppi più rilevanti sono in mano a famiglie e stanno alla larga dalla Borsa.

La storia

La storia del produttore di cavi parte dal lontano. Nel 1879 viene fondata Società Cavi Pirelli, divisione del gruppo che diventerà noto soprattutto per i pneumatici. Più o meno trascurata per oltre cent’anni, la divisione nel 1998 comincia a crescere attraverso una serie di acquisizioni mirate.

Nel 2005, l’allora proprietà di Pirelli decide di vendere la divisione, considerata non strategica. Un gruppo di manager, guidato dall’amministratore delegato Valerio Battista (nella foto di copertina), guida un buyout orchestrato dalla divisione private equity di Goldman Sachs. Nasce Prysmian. Due anni dopo, nel 2007, il gruppo approda a Piazza Affari. Goldman Sachs, dopo l’ipo, esce progressivamente dal capitale, con grande soddisfazione per il ritorno realizzato sull’investimento.

Da notare che la banca d’affari ha confermato la squadra di manager cresciuta da Battista, piazzando solamente nella carica

PIER FRANCESCO FACCHINI

di direttore finanziario Pier Francesco Facchini (emiliano di Lugo, classe 1967 – nella foto a destra), rimasto sino a oggi sulla poltrona e considerato dagli analisti uno dei potenziali candidati a succedere all’attuale Ceo.

Battista trova subito un investitore di peso sul quale appoggiarsi. Tamburi Investment Partners (Tip), infatti, intuisce da subito le potenzialità di Prysmian e ne rileva, attraverso il veicolo Clubtre (che vede la merchant bank al fianco di alcune famiglie imprenditoriali), una percentuale che consente a Gianni Tamburi di sedere a lungo nel consiglio di amministrazione. Clubtre è rimasto sempre nel capitale del produttore di cavi, comprando e vendendo pacchetti azionari in controtendenza rispetto all’andamento del mercato. Nel gennaio scorso, attraverso un Abb, Clubtre ha collocato il 3,729% del capitale, scendendo all’1,334%. Come già accaduto con Interpump, sebbene l’investimento in Prysmian sia stato più di natura finanziaria, Tamburi ha dimostrato ancora una volta la capacità innata di puntare su un cavallo vincente.

Le acquisizioni

Dopo il crack di Lehman Brothers, le quotazioni di Prysmian, come quelle dell’intero listino milanese, precipitano sotto i livelli dell’ipo. Una condizione potenzialmente pericolosa per una public company, a rischio scalata ostile. E, infatti, tra il 2009 e il 2010 si moltiplicano sul mercato le voci che vedono Prysmian nel mirino dei competitor. Si parla con una certa insistenza di un approccio da parte della francese Nexans. Ma sono soprattutto player asiatici – cinesi e coreani – a farsi avanti.

Battista gioca di rimessa: meglio attaccare che difendere. E lancia l’assalto all’olandese Draka. Siamo nel novembre 2010. Draka è nel mirino anche della cinese Tianjin Xinmao Science and Technology, che annuncia una controfferta, che, in realtà, non arriverà mai. Anche perché l’Unione Europea scende in campo, con una sorta di moral suasion, per favorire l’aggregazione fra gruppi continentali e sbarrare la strada ai cinesi. Via libera, dunque, all’integrazione con Draka e alla nascita di Prysmian Group.

La società italiana cresce per linee esterne nuovamente nel 2018 attraverso l’acquisizione dell’americana General Cable. Battista coglie l’attimo e riesce a mettere le mani su un gruppo che, forse, pochi mesi più tardi sarebbe stato considerato off-limits dall’amministrazione guidata da Donald Trump.

Business strategico, la produzione di cavi è diventato negli ultimi anni uno dei terreni di scontro fra Cina, Unione Europea e Stati Uniti. I player asiatici tentano da oltre dieci anni di sfondare i muri all’ingresso eretti in Europa e in Nord America. Gli interessi geopolitici si fondono e si confondono con le strategie di gruppi multinazionali, in un valzer che vede alternarsi schiaffi e carezze, periodi di apertura e di chiusura al mercato, competizione e difesa delle produzioni strategiche.

Cresce il portafoglio ordini

In questo contesto, Prysmian Group continua a macinare ordini in giro per il mondo. L’ultima maxi-commessa, 900 milioni di dollari, è arrivata il 21 giugno per il progetto SOO Green HVDC Link, pietra miliare nello sviluppo di una rete per l’energia pulita negli Stati Uniti.

Prysmian Group, dopo l’acquisizione di General Cable, può contare su una presenza consolidata negli Usa, con 23 impianti produttivi, circa 3 miliardi di dollari di fatturato e circa 6mila dipendenti.

Quest’anno, a fine marzo, la società guidata da Battista aveva già incamerato un ordine da oltre 200 milioni di euro da RWE Renewables per il parco eolico offshore Sofia di 1.4 gigawatt. Il 12 maggio si è aggiudicata un contratto da circa 46 milioni di euro assegnato da Red Eléctrica de España per lo sviluppo di un’interconnessione di energia sottomarina a doppio circuito tra le isole di Ibiza e Formentera. Il 18 giugno scorso ha messo nel carniere una commessa del valore totale di 140 milioni di euro assegnata dalla utility turca TEIAS per progettare, fornire, installare e collaudare due collegamenti in cavo sottomarino ad alta tensione per la trasmissione di energia.

Il 28 luglio verranno annunciati i risultati del primo semestre, che si preannunciano ottimi. Il primo trimestre è andato in archivio con ricavi pari a 2,810 miliardi (variazione organica +4,6%), ebitda adjusted di 213 milioni e un free cash flow pari a 553 milioni.

“I segnali che registriamo in questo avvio d’anno sono marcatamente positivi”, ha detto Battista a commento dei numeri del periodo gennaio-marzo.

La chiave della diversificazione

Prysmian ha la peculiarità di correre con diverse gambe, qualcuna che viaggia al ritmo del ciclo economico (soprattutto i cavi per costruzioni e per il comparto oil & gas) e altre capaci di muoversi anche quando la crescita rallenta o si blocca (i progetti nelle telecomunicazioni e nelle rinnovabili sono programmati sul medio termine). E poi c’è il segmento projects, che è tendenzialmente il maggior contributore alla marginalità e che, pur risentendo del phasing dei progetti, riesce a garantire una relativa stabilità dell’ebitda adjusted.

Fornendo l’outlook sull’intero anno, nel marzo scorso, Prysmian ha sottolineato che “rimangono confermati i driver di crescita di lungo periodo, legati principalmente alla transizione energetica verso le fonti rinnovabili, al rafforzamento delle reti di telecomunicazione (digitalizzazione) e al processo di elettrificazione. Il gruppo può inoltre contare su una ampia
diversificazione di business e aree geografiche, una solida struttura patrimoniale, una supply chain efficiente e flessibile e un’organizzazione snella, tutti fattori che stanno permettendo di fronteggiare l’emergenza con fiducia”.

Quest’anno Prysmian prevede di registrare un ebitda rettificato compreso nel range 870-940 milioni di euro. E stima di generare flussi di cassa per circa 300 milioni.

Dal punto di vista finanziario, il gruppo ha aperto l’anno con l’emissione di un prestito obbligazionario equity linked pari a 750 milioni di euro, scadenza 2 febbraio 2026, quotato sulla Borsa di Vienna il 14 giugno.

Massimo Battaini

Il 28 aprile scorso, l’assemblea che ha approvato il bilancio 2020 ha anche nominato il nuovo consiglio di amministrazione, che, oltre ai citati Battista (confermato amministratore delegato) e Facchini, vede Claudio De Conto (presidente), Francesco Gori, Maria Letizia Mariani, Jaska Marianne de Bakker, Massimo Battaini (nella foto a sinistra), Tarak Mehta, Ines Kolmsee, Annalisa Stupenengo, Paolo Amato e Mimi Kung.

Battaini, varesino classe 1961, dal 2002 a capo della divisione energy projects, dal febbraio scorso è stato nominato chief operating officer, rafforzandosi, secondo gli analisti, nella corsa alla successione di Battista. Quest’ultimo, classe 1957, toscano d’Arezzo, schietto e tosto, resterà in carica per il prossimo triennio. E poi potrebbe cedere la mano al delfino designato. Con una mission chiara: continuare a essere la mosca bianca del capitalismo italiano, una public company che gioca per diventare campione del mondo.

L’andamento del titolo

Fonte: Borsa Italiana

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