La settimana lavorativa è iniziata lunedì con il discorso annuale del presidente della Consob Paolo Savona che, come ormai fa da qualche tempo, non ha mancato di tuonare nuovamente contro i bitcoin e tutte le criptovalute.
Le preoccupazioni di Savona, professore emerito di politica economia, già ministro per gli Affari Europei nel primo Governo Conte e alla guida della consob dal 2019, sono legittime: le monete digitali mettono a rischio i risparmi dei cittadini, le transazioni sono difficili da regolare e quindi non garantiscono adeguata trasparenza, favorendo attività criminali come il riciclaggio di denaro, l’evasione fiscale o la violazione della privacy.
Da qui, l’84enne presidente ha richiamato alla necessità di una regolamentazione, anche nazionale oltre a quella europea, e a una Bretton Woods per le criptovalute, dall’evento che nel 1944 diede inizio al primo sistema monetario internazionale.
Le parole di Savona lasciano però spazio a una serie di riflessioni.
Fra queste – mi limito a un paio – una riguarda la regolamentazione. Regolamentare un sistema che nasce con l’intenzione di non avere alcun tipo di regolamentazione esterna è, come si capisce, molto complicato. La blockchain, sulla quale vengono transate le criptovalute, si fonda su un sistema di controlli decentralizzati, in cui ogni potenziale persona che vuole partecipare al processo di validazione di una transazione può farlo e dare il suo contributo per una parte che, insieme alle altre parti, costituisce il tutto, cioè la transazione stessa. La spiegazione è molto semplicistica, ma è utile a capire che è praticamente impossibile entrare nel merito dei processi di scambio delle crip.
Il caso cinese
Come regolare allora? La Cina ha preso una direzione ben precisa: il 18 maggio scorso tre associazioni finanziarie cinesi facenti capo allo Stato -la National Internet Finance Association of China, che riunisce società cinesi fornitrici di servizi finanziari via Internet, la China Banking Association, che riunisce le banche, e la Payment and Clearing Association of China, che comprende aziende attive nell’industria dei pagamenti – hanno avvertito i loro membri (cioè banche, società di pagamenti e altre istituzioni finanziarie cinesi) di evitare qualsiasi attività di finanziamento legata alle criptovalute. In pratica le realtà legate a queste associazioni non possono, fra le altre cose, accettare criptovalute come mezzo di pagamento, prezzare i propri prodotti in criptovaluta, scambiare criptovaluta con valuta legale (il renminbi), sviluppare borse di criptovalute, fornire servizi legati al trading di monete digitali, alla loro custodia o al loro prestito. Poco dopo la Cina ha anche aperto alla possibilità di vietare il mining, cioè l’estrazione (digitale) di criptovalute.
Le motivazioni delle istituzioni cinesi per il blocco delle attività cripto sono le stesse indicate da Savona, fra cui la recente volatilità delle monete digitali e l’aumento dell’atteggiamento speculativo degli investitori, fattori che mettono a rischio la proprietà delle persone. Anche in questo caso, le preoccupazioni sono fondate, ma sono anche altre le ragioni che spingono la banca centrale cinese a regolamentare, se non limitare, la circolazione delle criptovalute. Come qualsiasi banca centrale, anche quella cinese vuole mantenere la sovranità che le permette di regolare e controllare efficacemente la moneta. Questa perdita di sovranità delle istituzioni tradizionali va sempre tenuta ben presente quando si parla di bitcoin & company. La banca centrale cinese, dell’altro lato, sta promuovendo la versione digitale del renminbi, evidentemente in concorrenza con il bitcoin.
Uso originario
Un altro esempio di regolamentazione, e qui sta la seconda riflessione, è quello della Repubblica di El Savador. A inizio giugno il parlamento del paese centroamericano ha approvato la proposta del presidente Nayib Bukele di accettare i bitcoin, la prima delle oltre 5mila monete digitali in circolazione, come mezzo di pagamento. Le ragioni dietro alla decisione di El Salvador sono molteplici, fra i quali l’eccessiva dipendenza dal dollaro o una maggiore inclusione finanziaria, ma non tradiscono la bontà della decisione, che potrebbe rappresentare la direzione naturale della regolamentazione delle cripto.
Ciò che spesso ci si dimentica è infatti cosa i bitcoin, e tutte le altre criptovalute, dovrebbero essere: un mezzo di scambio. È lo scambio che legittima, e da valore, alla moneta. Finché questo scambio non avviene – non posso pagare un caffè al bar in bitcoin – le criptovalute resteranno uno strumento speculativo, altamente volatile perché scollegato a qualsiasi fondamentale e quindi pericoloso per i risparmi.
Accettare le criptovalute come moneta ha però il rovescio della medaglia (o della monetina) di cui si accennava prima, cioè implica una perdita di sovranità. La percezione, dunque, è che spesso la tutela del risparmio e la trasparenza del mercato possano essere delle scuse per trincerarsi dietro i vecchi sistemi, chiudendo la porta ai nuovi strumenti finanziari.
Era così anche per i computer stessi, trent’anni fa: erano i computer, o la televisione nella seconda metà del ‘900, a essere pericolosi in sé più che l’uso che se ne faceva. Convinzioni, queste, che implicavano un’avversione per il cambiamento che, sopratutto quando questo erode quote di controllo, è ancora vivo e presente in tante parti della società.
Savona ha citato l’economista Richard Rasmussen, il quale ha scritto che “sarebbe estremamente ridicolo applicarsi per davvero a dimostrare che la ricchezza consiste nella moneta, o nell’oro e nell’argento, e non in ciò che la moneta acquista”. Corretto. Tuttavia attribuire questo assunto solo alle criptovalute rischia di essere ipocrita. Non è accaduto qualcosa di simile in più ambiti della finanza? Il crollo dei mutui subprime nel 2008 è un esempio lampante, così come, più di recente, lo è stato l’aumento privo di fondamento del valore delle azioni di GameStop o di Amc Entertainment Holdings, società che gestisce una catena di cinema e teatri.
Che sia necessaria una regolamentazione delle criptovalute è quanto mai evidente, bisogna capire in che direzione andare. Chiudere gli occhi e barricarsi dietro un muro costruito solo per legittimare l’esistente rischia non solo di essere controproducente ma anche di non riuscire davvero ad arginare il fenomeno, che crescerà ancora di più senza una corretta sorveglianza.