Nel 2050 l’Italia potrebbe avere 5 milioni di abitanti in meno. Questo avverrà se il calo demografico registrato negli ultimi tempi non si fermerà e la natalità nel Paese non invertirà la rotta. Si potrebbe quindi arrivare sotto i 55 milioni di abitanti (al primo gennaio 2022, secondo i primi dati provvisori, eravamo a 58 milioni e 983mila persone), come all’inizio degli anni 70. A lanciare l’allarme è stato il presidente dell’Istat, Gian Carlo Blangiardo durante la seconda edizione degli Stati generali della natalità, organizzati dal Forum delle famiglie e dalla fondazione Natalità, presiedute da Gigi De Palo.

Con 5 milioni in meno, di cui quasi 2 milioni di giovani, e con il doppio di ultranovantenni (dagli attuali circa 800mila a 1 milione e 700mila) solo poco più di una persona su due sarebbe in età da lavoro, con un 52% di persone tra i 20-66 anni che dovrebbero provvedere a curare e formare le persone sotto i venti anni (16%), ma anche a produrre risorse sufficienti per il mantenimento e l’assistenza ai pensionati (32%).

Un calo significati che inevitabilmente inciderà sul portafoglio dello Stato. Il Pil, infatti, calcolato in relazione alla produttività, la popolazione, ma anche all’occupazione e la partecipazione al mercato del lavoro, risentirà di questa situazione.

L’Italia è un Paese per vecchi, anche nel 2021

In Italia nascono sempre meno bambini e, di conseguenza, aumenta l’età media della popolazione. Nel 2021 le nascite nel nostro Paese sono scese al minimo storico, con 399.400 bambini nati nel corso dell’anno (il 1,3% in meno rispetto al 2020 e quasi il 31% in meno rispetto al 2008). Una piccola ripresa c’è stata, ha evidenziato l’Istat, ma solo alla fine dell’anno e l’inizio di quello nuovo: nel periodo dicembre 2021-febbraio 2022 c’è stato un aumento di circa il 6%.

Emergono i primi segnali positivi, però, già a partire dal mese di agosto in cui il trend negativo inizia a essere meno marcato, fino a invertire decisamente la rotta nei mesi di novembre e dicembre in cui si registrano aumenti consistenti di nati rispetto agli stessi mesi del 2020 (rispettivamente +6,8% e +13,5%). In questi ultimi due mesi, a fare figli sono per lo più donne di 35 anni o più.

E’ aumentata, infatti, l’età in cui la popolazione femminile decide di avere figli: si è passati da una media di 30,5 anni nel 2002 a 32,4 l’anno scorso (+0,2 rispetto al 2020). Nel 2021, poi, il numero medio di figli per donna è stato di 1,25: un piccolo rialzo – ma significativo – rispetto all’1,24 del 2020.

Il calo demografico, però, va avanti dal 2014. Soprattutto nel 2020 si è giunti alla cifra record di 335mila nascite in meno (arrivando quindi solo a 404mila bambini nati nel Paese) e, rispetto a questo, il 2021 ha fatto un po’ meglio con 309mila unità in meno.

Nell’anno passato dunque la popolazione italiana è scesa ancora. Secondo i primi dati provvisori, dal 2020 la popolazione italiana è calata di 250mila unità, giungendo così a 58 milioni e 983mila persone. Nell’arco di otto anni, la perdita totale è stata di un milione e 363mila persone. Anche la popolazione residente è in riduzione costante dal 2014, quando risultava pari a 60,3 milioni: al 31 dicembre è inferiore di circa 253mila unità rispetto all’inizio dell’anno; nei due anni di pandemia il calo è stato di quasi 616mila unità.

A contribuire alla diminuzione è anche la riapertura delle frontiere con l’allentamento delle restrizioni: 286mila italiani si sono trasferiti all’estero in un anno, con un saldo negativo tra arrivi e partenze pari a 157mila. A registrare il calo più marcato sono state le regioni Molise, Basilicata e Calabria. Si allontana sempre di più quindi lo status registrato nel 2006, l’ultimo anno in cui in Italia i numeri di nascite e decessi erano in equilibrio: nel 2021 si contano 7 neonati e 12 morti ogni mille abitanti.

L’anno scorso, infatti, sono stati registrati 709mila decessi (-4,2% in meno rispetto al 2020). Di tali decessi, circa 59mila sono dovuti a mortalità da e con Covid-19, come accertato dal Sistema di sorveglianza nazionale integrata coordinato dall’Istituto superiore di sanità (Iss).

Ma quanto peserà il calo delle nascite sul Pil?

Fare meno figli e quindi avere una popolazione più ridotta incide inevitabilmente sul Pil del nostro Paese. Già a ottobre scorso, Blangiardo aveva ipotizzato a Il Sole 24 ore quanto potrebbe ammontare il calo. Se tra il 2020 e il 2040 la popolazione scenderà di circa 4 milioni, il Pil potrebbe scendere del 6,9%. Se poi si immagina che scenderà anche la popolazione in età attiva – a condizioni generali invariate nelle altre componenti, tra cui la produttività –, il presidente dell’Istat ha sottolineato che allora il calo del Pil potrebbe arrivare addirittura al -18,6%.

Cosa fare per invertire la rotta

In Italia manca un ambiente favorevole per chi ha figli, per questo Blangiardo ha richiesto che vengano apportate politiche urgenti nell’adozione di interventi seri, duraturi e consistenti e non solo “bonus occasionali”. Le condizioni che influiscono la società, in particolare le donne, a fare meno figli o non farli, infatti, sono diverse, che vanno dalla possibilità economica, fino alle condizioni di lavoro – vedi la difficoltà di fare carriera per il genere femminile, se non dopo gli “anta”, perché sovraccaricate dalla cura (nel peggiore dei casi) esclusiva di figli e famiglia.

Tra le misure disposte dallo Stato, al momento, da marzo 2022 Inps ha iniziato a erogare le prime mensilità del nuovo contributo che riordina e potenzia gli aiuti per i figli: spetta per ciascun figlio a carico sotto i 21 anni (o senza limiti di età se disabile) ed è modulato in base all’Isee, senza il quale spetta la quota minima. Il bonus nido, finanziato a regime, poi, è cumulabile con l’assegno unico: modulato in base all’Isee, spetta a tutti coloro che hanno figli che frequentano una struttura, a rimborso delle spese da notificare a Inps.

Si attende, però, l’attuazione del Family act, la riforma che più di altre punta a sostenere le famiglie italiane e la natalità nel nostro Paese. Entrato in vigore il 12 maggio, sono diversi gli interventi previsti dalla legge delega. Tra questi, misure di sostegno all’educazione dei figli (entro 12 mesi); estensione e riordino dei congedi parentali, di paternità e di maternità (24 mesi); incentivi al lavoro femminile e alla conciliazione lavoro-vita (24 mesi); misure per favorire l’autonomia finanziaria dei giovani e ridurre quindi il fenomeno dei Neet, pari a oltre il 23% in Italia tra i 15 e i 29 anni (24 mesi); e sostegno delle responsabilità familiari (12 mesi).

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