La pandemia ha accelerato il processo di rinnovamento delle professioni giuridico-economiche, che hanno reagito alla situazione di emergenza aumentando gli investimenti in tecnologie digitali, ripensando le modalità di gestione e relazione col cliente e riprogettando spazi e modelli organizzativi dello studio per adattarli alle mutate condizioni di lavoro. Nel 2020 avvocati, commercialisti e consulenti del lavoro hanno investito 1,7 miliardi di euro in strumenti digitali, con un aumento del 7,9% rispetto all’anno precedente, e le stime per il 2021 indicano un’ulteriore crescita del 5,6%, fino a sfiorare quota 1,8 miliardi.
I dati arrivano dalla ricerca dell’Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale della School of Management del Politecnico di Milano, condotta su un campione di oltre 3mila studi di avvocati, commercialisti e consulenti del lavoro. “La pandemia ha accelerato un processo di crescita sia culturale che di spesa nel mondo legal, creando nuove consapevolezze. Gli avvocati e gli studi legali hanno percepito nelle nuove modalità di gestione l’impatto dell’emergenza sanitaria”, spiega a Dealflower Claudio Rorato, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale (nella foto).
Fra le nuove consapevolezze, in primo luogo, una maggiore comprensione dei propri punti di forza e di debolezza, particolarmente presente negli avvocati (che l’hanno maturata nel 25% dei casi), e una più attenta valutazione delle attitudini dei collaboratori, oltre che dei soli aspetti organizzativi del lavoro in remoto, soprattutto fra i consulenti del lavoro (34%) e negli studi multidisciplinari (43%).
Uno studio legale, commercialista e multidisciplinare su quattro, poi, è pronto a ripensare i modelli organizzativi della propria struttura, mentre per il 70% la crisi ha cambiato le modalità di gestione della clientela, per la quale sempre più servono adeguate tecnologie collaborative e un investimento nella formazione dei professionisti e dei dipendenti dello studio. “Nel mondo legal è emerso il discorso delle nuove energie per riprogettare lo studio e le sue attività nel 30% dei casi: questo sottolinea la capacità da parte degli studi legali di fare una riflessione su sé stessi e mettere in discussione i paradigmi professionali finora adottati”, spiega Rorato.
La spesa (e cultura) digitale
A trainare la spesa negli studi di piccole, medie e grandi dimensioni sono stati soprattutto gli investimenti in tecnologie per la gestione elettronica documentale (+34%), strumenti di workflow (+57%), Crm (+120%), business intelligence (+86%) e machine learning (+125%). Le micro strutture, invece, oltre che sulla gestione elettronica documentale (+37%), hanno puntato su tecnologie meno articolate e più incentrate sulle esigenze immediate che su quelle di lungo periodo, come i canali social (+26%) e le Vpn(+44%). In generale, le tecnologie più presenti in tutte le categorie professionali sono la fatturazione elettronica (adottata dall’85% degli avvocati, dal 92% dei commercialisti, dall’86% dei commercialisti e dal 96% degli studi multidisciplinari) e le applicazioni per le videochiamate (89% legali, 74% commercialisti, 71% consulenti del lavoro e 70% studi multidisciplinari).
Quasi un commercialista su due punta sull’e-learning (49%), mentre è ancora limitato l’investimento nei canali digitali, con solo il 39% che ha un sito proprietario e il 25% che è presente sui social media. Limitata ma in miglioramento la presenza digitale dei consulenti del lavoro, il 45% ha un sito web e il 27% uno o più account social, che invece è più sviluppata fra gli avvocati, che hanno un sito nel 54% dei casi e una presenza social nel 36%. La Vpn, invece, è la terza tecnologia più adottata dagli studi multidisciplinari (61%), che hanno anche la presenza digitale più strutturata (il 59% ha un sito web, il 40% almeno un account social).
Gli studi multidisciplinari hanno stanziato i budget più consistenti, 25.300 euro in media, ma sono gli avvocati a mostrare l’incremento maggiore, con un +29,9% di investimenti ICT. “Per gli avvocati emerge proprio la volontà di mettersi in discussione. Seppur, riguardo la spesa tecnologica, gli avvocati rimangano fanalino di coda, sono però la categoria che ha espresso il maggior incremento percentuale rispetto all’anno precedente”, spiega Rorato. “La trasformazione digitale all’interno degli studi legali non si può pensare possa avvenire con una sola tecnologia: esiste una digitalizzazione dello studio, una cultura digitale che deve permeare lo studio”. Serve unire quindi i punti fra le differenti tecnologie e non investire in una singola tecnologia, in modo da avere una trasformazione – e innovazione – completa.
“Le grandi e medie realtà sono più portate a investire nell’ambito di una formazione di una cultura digitale diffusa all’interno dello studio. Però le piccole realtà dovrebbero riflettere maggiormente sulla possibilità di aggregarsi in maniera più o meno formalizzata in modo da sviluppare delle prassi comportamentali più adeguate alle necessità del mercato”, commenta ancora Rorato. “Gli studi devono pensare a sviluppare una cultura digitale. Da questo punto di vista le dimensioni più piccole di commercialisti e consulenti del lavoro sono più avanti rispetto alle dimensioni più piccoli degli avvocati. Mentre i grandi studi legali sono quelli che stanno segnando la strada per tutti gli altri”.
Un mercato che cambia
Gli sviluppi normativi dell’ultimo anno e mezzo e gli interventi del governo a sostegno delle diverse categorie colpite dagli effetti della crisi sanitaria, hanno aumentato il lavoro degli studi professionali, perlomeno di commercialisti, consulenti del lavoro e studi multidisciplinari, mentre per gli avvocati l’attività presso i tribunali ha subito importanti rallentamenti. Da un sondaggio condotto dall’Osservatorio su un campione statisticamente rappresentativo di 535 Pmi e 122 grandi imprese emerge un’evidente differenza nella domanda di servizi professionali agli avvocati rispetto alle altre categorie.
“Circa il 60% degli avvocati ottiene delle richieste saltuarie da parte delle Pmi e solamente un 30% ottiene delle richieste continuative. Percentuali che cambiano quando ci rivolgiamo alle grandi imprese dove la continuità del lavoro è più alta. Questo evidenzia che rispetto al tasso di continuità di commercialisti e consulenti del lavoro (80%), gli avvocati hanno il problema di trovare e fidelizzare clienti nelle Pmi”, commenta il responsabile scientifico a Dealflower. Diversa la situazione per commercialisti e consulenti del lavoro, cha hanno un tasso di continuità di intervento presso le Pmi dell’85% e 78% rispettivamente, mentre i valori scendono al 54% e 46% con le grandi imprese. Ciò apre per ciascuna professione una riflessione sulle strategie da adottare per l’acquisizione della clientela e per la sua fidelizzazione, grazie anche all’impiego di nuovi servizi e di tecnologie collaborative.
Tuttavia, “rispetto alle altre professioni gli avvocati hanno un plus, ovvero sono più trasversali anche nei processi di supporto. Gli avvocati, pur avendo un tasso di rotazione della clientela più alto, sono meno concentrati amministrative rispetto a commercialisti e consulenti del lavoro”. Questo essere versatili è utile anche in ottica futura, dal punto di vista del cliente. “Un altro aspetto di cultura aziendale dei grandi studi è quello di sviluppare dei comportamenti costumer-centered, ovvero sviluppando un sistema di servizio: dalla comunicazione alla tecnologia. Ciò significa rendersi osmotici anche nella possibilità attraverso gli indicatori la customer experience in maniera più adeguata”, conclude Rorato.