Rete unica: riparliamone. Stavolta però sul serio. I Cda straordinari che si sono riuniti domenica di Cassa Depositi e Prestiti, Tim e Open Fiber hanno dato il via libera (anticipato, le firme erano attese per oggi pomeriggio e invece sono arrivate già ieri sera) al memorandum d’intesa per iniziare a discutere la realizzazione della rete unica, integrando le infrastrutture di rete di Tim e Open Fiber. Spiega la nota congiunta e sottoscritta anche dai fondi Macquarie e Kkr: “L’obiettivo è avviare un processo volto alla creazione di un solo operatore delle reti di telecomunicazioni, non verticalmente integrato”. Si tratta di un documento non vincolante. Siamo ancora ben lontani dall’aver trovato un accordo tra le parti. Ma se entro il 31 ottobre si arriverà al patto, questo sarà ricordato come il punto di partenza da cui tutto è iniziato, in maniera più o meno ufficiale.
Rete unica, quali sono i soggetti coinvolti
Già perché in realtà siamo già in ritardo. Il memorandum doveva arrivare a fine aprile, quasi due anni dopo la firma del progetto originario, poi finito in “ghiacciaia” tra ribaltoni (al governo, ma anche ai vertici delle rispettive compagnie) e nuovi assetti azionari. La lettera d’intenti dovrebbe finalmente sbloccare i lavori per la costruzione di una rete unica in fibra ottica, strategica per la digitalizzazione del paese. Il progetto non sembra complicato dal punto di vista tecnico. Può esserlo, tuttavia, dal punto di vista finanziario. I colloqui si concentreranno soprattutto su questo punto. L’operazione va resa sostenibile a livello di governance.
Gli interessi sono molteplici, a partire dai soggetti coinvolti. Open Fiber è partecipata per il 60% da Cdp e per il 40% dal fondo Macquarie. Il maggior azionista di Tim è Vivendi con il 23,75% ma la compagnia francese non rientrerà nell’operazione, rimanendo però dentro ciò che rimarrà di Tim, e quindi telefonia mobile e servizi commerciali. Infine, Cassa Depositi e Prestiti è dentro con il 9,81% mentre i capitali stranieri partecipano con oltre il 40%, Kkr compreso che a sua volta detiene il 37,5% di Fibercorp, rete secondaria di Tim.
Due opzioni sul tavolo: la chiave è il debito di Tim
Sul tavolo, almeno per il momento, le opzioni sono due. La prima: Tim vende l’intera rete a Oper Fiber senza corrispettivo, o quasi. Perché insieme agli asset, il trasferimento prevede anche la maggior parte del debito in pancia all’ex monopolista (che riacquisterebbe così il proprio investment grade). La seconda: la vendita verrebbe pagata per un valore attorno ai 18 miliardi di euro con il contributo di Cdp (comunque vadano le cose, sarà il socio forte) ma aprendo il capitale della rete ai fondi, compresi Kkr e Macquarie, già dentro.
Lo scorporo in due delle attività di Tim (una ServiceCo e una NetCo) potrebbe essere annunciato dall’amministratore delegato Pietro Labriola (nella foto) il prossimo 8 luglio. Separando la rete dai servizi, la compagnia non sarà più operatore verticalmente integrato e avrà meno vincoli regolatori. C’è poi la questione del personale e quanto di esso verrà trasferito nella NetCo, tema cruciale anche per il governo, che infatti è interessato non solo a mettere l’infrastruttura in mani sicure ma anche alle garanzie occupazionali.
Cdp Equity a capo della rete unica
Il memorandum prevede che la nuova società sia controllata da Cdp Equity e partecipata da Macquarie (azionista di Open Fiber) e Kkr. Il valore dell’infrastruttura, tra capitalizzazione e debito, potrebbe arrivare fino a 25 miliardi di euro secondo Intermonte, di cui 16,7 sono riferibili ad asset di Tim e 8,6 a Open Fiber, con sinergie ulteriori di 4-5 miliardi mentre è da capire l’ammontare di debito che verrà allocato alla Netco di Tim prima di assegnargli un valore. Secondo Bestinver difficilmente la transazione sarà finalizzata prima della fine del 2023. Più realistica la nascita di una rete ultraveloce in fibra ottica, neutrale e aperta a tutti, per il 2025: un pezzo importante del Pnrr da cui dipende una buona parte del futuro digitale del paese.
Gli advisor
Credit Suisse per Cdp, Hsbc per Macquarie. Infine Goldman Sachs, Mediobanca e Vitale & Co. per Tim. Tutti gli advisor si sono dichiarati fiduciosi sulla possibilità di arrivare subito dopo l’estate a un’offerta vincolante per la rete di Tim. Non sono ancora stati indicati i tempi tecnici per l’integrazione, ma potrebbero servire non meno di due anni.