Fusioni e mancate fusioni. Tentativi di aggregazione e accorpamenti di filiali. Il 2021 è stato un anno dinamico per il settore bancario, segnato da grandi operazione come quella di Intesa Sanpaolo e Ubi, del no di Unicredit al Mef per Monte dei Paschi di Siena e dell’offerta su Banca Carige da parte di Bper. La banca emiliana ha acquisito anche gli sportelli di Ubi rimasti fuori dall’operazione con Intesa. Infine, c’è stata anche la fusione tra Crédit Agricole e Creval, operazione conclusa alla fine di aprile di quest’anno.
Ma anche nel 2022 gli istituti finanziari non arresteranno la loro espansione. Dopotutto, di fronte ai nuovi competitor digitali, ormai da quasi dieci anni il settore bancario in Italia ha avviato un processo di trasformazione, in cui gli istituti si fanno alleati per farsi forza gli uni con gli altri. Diminuisce sempre di più, infatti, il numero delle grandi banche e si spostano sempre più a nord i presidi bancari dal centro e dal sud del Paese. Ma vale anche per le più piccole banche, che per non farsi inghiottire dal mercato hanno capito di far fronte comune, come Banca Popolare Valconca che è stata integrata in Blu Banca. Ne abbiamo parlato con Dario Mancini (nella foto), direttore generale di Banca Popolare Valconca.
Unire le forze
Il settore bancario ha cominciato a cambiare pelle da diversi anni. “Almeno da quando è esplosa la crisi nel 2008 che ha avuto chiaramente risvolti sull’economia reale – spiega Mancini -. Questo ha spinto i regolatori, soprattutto Bce, a creare i presupposti per le banche, in quel momento molto danneggiate dalla crisi finanziaria, come gli accantonamenti ai rischi e quindi ai crediti”.
Più di recente, pandemia, guerra e inflazione hanno dimostrato che il patrimonio che le banche devono sempre avere da parte serve per lo sviluppo delle attività, ma anche per fronteggiare improbabili rischi che però possono succedere. “Ad oggi ci troviamo in un ulteriore situazione di incertezza per cui le banche potrebbero andare in conto a dover ancora accantonare i crediti di grosse partite”, aggiunge il direttore.
In questo contesto le piccole banche con poco patrimonio devono evolvere l’attività, modello di business e avere la capacità manageriale e strategica per capire l’evoluzione generale, i nuovi prodotti e i nuovi competitor. Queste realtà, più che altro territoriali e tradizionali, spiega Mancini, hanno modelli di business un po’ datati, ma è tempo di cambiarli se si vuole sopravvivere.
Per questo motivo nel caso di Bpv la fusione sembrava essere l’unica soluzione. Tre anni fa, infatti, la banca ha avviato un percorso di ristrutturazione interna, col solo scopo di preparare l’istituto a entrare a fare parte di un gruppo e, di conseguenza, renderlo ancora una volta in grado di competere sul mercato. Ricevute tre offerte, la scelta è poi ricaduta su Blu Banca. “Abbiamo scelto questa offerta perché Blu Banca ha il nostro stesso dna, ci permetteva di mantenere gli accordi, l’operatività sul territorio e il progetto prevedeva di lavorare insieme al nostro marchio”, spiega Mancini.
Ad oggi si attendono ancora due passaggi per l’unione definitiva: il sì di Banca d’Italia e quello degli azionisti di Valconca, entrambi previsti per settembre. In seguito Blu Banca emetterà 37.501 azioni ordinarie da assegnare agli attuali soci di Bpv in ragione di un’azione ordinaria Blu Banca di nuova emissione per 282 azioni ordinarie di Bpv in circolazione. L’organico di Bpv rimarrà invariato, come anche le filiali possedute.
Con il patrimonio acquisito la nuova entità potrà compiere tutte le trasformazioni necessarie per rimanere sul mercato e si pensa anche, dice il direttore, all’apertura di nuove filiali in Emilia- Romagna e nelle Marche.
“La trasformazione del settore negli ultimi dieci anni ha portato anche a queste aggregazioni e unioni. Non è obbligatorio farlo, sia per le piccole che grandi banche, ma sta di fatto che la maggior parte lo fa perché da sola non è in grado di valutare i cambiamenti di normativa e mercato, mentre insieme si è più forti”, conclude Mancini.
Le partite migliori
A movimentare il centro Italia anche nel 2022 c’è Bper, guidata da Piero Montani, che dopo aver presentato a dicembre scorso un’offerta non vincolante per acquisizione dell’80% dell’istituto ligure Carige, ha ricevuto a luglio il sì fatidico dal Fondo interbancario di tutela dei depositi (Fitd).
Bper è diventata così il terzo polo bancario in Italia, arrivando anche in due regioni oggi poco frequentate ma ricche, la Toscana e la Liguria. Ma sono anni che la banca emiliana porta avanti una forte espansione, insieme a Crédit Agricole. Nel 2017, infatti, ha acquisito le attività di Carife, la Cassa di Risparmio di Ferrara in dissesto e nel 2019 ci fu l’integrazione di Unipol Banca.
Al sud, invece, è ripartito il progetto di una grande banca del Mezzogiorno. Dopo che a marzo scorso Mediocredito Centrale ha dato vita al gruppo (in cui convergono le controllate Banca Popolare di Bari e Cassa di Risparmio di Orvieto), ha acquisito un ramo d’azienda composto da quattro filiali (situate a Napoli, Caserta, Avellino e Salerno, da 14 Atm) di Banca del sud.
L’anno scorso è stato principalmente segnato dall’operazione di Intesa Sanpaolo, che ha realizzato la fusione con Ubi ad aprile, dopo aver lanciato un’offerta a febbraio del 2020 e aver trovato una risposta positiva solamente in estate, tra la fine di luglio e inizio agosto 2020. Una manovra che ha visto nascere un gruppo da quasi 50 miliardi di capitalizzazione, terzo in Europa alle spalle di Bnp Paribas e Santander e che ha coinvolto 80mila lavoratori.