“Bitcoin è fuori controllo come i mutui subprime prima del 2008. L’allarme della Consob”, recitava il titolo di un articolo apparso su Money.it, che riportava, fra le altre cose, che “nella sua relazione annuale […] il numero uno dell’authority Paolo Savona ha infatti parlato di una analogia tra il cripto-mercato odierno e l’esperienza dei mutui subprime pre-2008, auspicando una soluzione internazionale”. E ancora: “Nel dettaglio, Savona ha affermato che ‘questi nuovi comparti del mercato sono in rapida evoluzione e sembra ripetersi l’esperienza antecedente la crisi del 2008, quando i contratti derivati si svilupparono fino a raggiungere una dimensione di dieci volte il Pil globale, assumendo forme complesse che ricevettero un rating elevato”. Con le dovute distinzioni, rileva Savona, “è prevedibile che stia accadendo qualcosa di analogo nel mercato dei prodotti monetari e finanziari virtuali, soprattutto criptati’.

A chi legge i giornali con regolarità queste parole possono risultare familiari in quanto è esattamente ciò che Savona ha detto martedì scorso a Milano in occasione del 50esimo anniversario dell’Autorità di vigilanza dei mercati. Peccato che l’articolo citato sia del giugno 2021. E ciò ci mostra che in tre anni esatti, Savona e il suo entourage all’interno della Consob non hanno ancora capito il funzionamento del Bitcoin e delle altre criptovalute, o non hanno cambiato idea al riguardo.

Farò un disclaimer: non sono “fan” delle cripto per come sono diventate oggi. Avrei preferito che almeno una avesse espletato la sua funzione originale (almeno è quella per cui è nato il Bitcoin) e cioè porsi come strumento monetario alternativo, digitale e decentralizzato. Come mi spiegava un amico esperto in materia, il bitcoin è esattamente “uno studio della possibilità di decentralizzare le monete centrali. La teoria più accreditata è che il bitcoin fu creato da un gruppo di ricercatori della CIA, alcuni dei quali inventarono la crittografazione SHA-256, che è la colonna vertebrale del bitcoin”. Oggi gli esempi in cui il bitcoin, o altre cripto, vengono usate come mezzo di scambio sono rare, ma lo strumento viene considerato sempre di più quale asset finanziario.

Ecco, forse è questa l’unica similitudine che vedo con i mutui subprime. Paragonare le criptovalute a quegli strumenti che hanno fatto crollare il sistema finanziario statunitense prima e occidentale poi non solo non è corretto ma è anche fuorviante, nonché rappresentativo di una cultura – e cioè un modo di pensare –  com’è troppo spesso quella italiana che ci porta a rifuggire se non a demonizzare i cambiamenti, invece di cercare di capirli e individuarne gli aspetti positivi, solamente per salvaguardare lo status quo.

Che poi, i subprime sono diventati quel castello di carta che conosciamo proprio a opera di soggetti regolamentati, cioè le banche, che però non erano adeguatamente vigilati in questa pratica e usando i danari dei correntisti. Quindi se il punto dove voleva arrivare Savona è che sia necessario regolare il mercato delle criptovalute siamo tutti d’accordo e d’altronde è ciò che ha appena fatto il nostro governo con un decreto approvato proprio a inizio settimana.

Mi pare di capire però che il cuore dell’intervento di Savona riguardi una presa di coscienza del pericolo di una finanza che “da ancella dello sviluppo reale” sta divenendo “creatrice di ricchezza mobiliare per partenogenesi”, ha detto. Benissimo. Ma cosa c’entrano i bitcoin e le altre criptovalute? Il meccanismo di scissione tra la finanza artificiale e l’economia reale era già in atto prima che entrassero in scena le monete digitali e oggi continua perché è il mercato finanziario che è andato in quella direzione. Pensiamo alla valutazione delle aziende in borsa e a quanto spesso questa si discosti dal valore reale dell’impresa sottostante.

Il pericolo è reale, è talmente reale che ormai non è più un pericolo, è già così. E questo ‘scisma’ sta contribuendo a rendere sempre più ampia la disparità sociale. Le criptovalute – quale asset finanziario particolarmente volatile e rischioso – possono semmai essere parte del problema, ma non facciamone un facile capro espiatorio.

A guardare oltre la superficie, però, sono tante le iniziative che le banche e la stessa Consob stanno valutando ad esempio in chiave Dlt, acronimo per distributed ledger technology, basata su un registro contabile condiviso e distribuito. Non è che forse questo attacco contro le cripto non sia altro che un canto del cigno?

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