Da Milano a Roma, ma anche a Napoli e Torino. I motori sono spenti, i turisti e lavoratori sono lasciati a piedi e i disagi sono notevoli. Continua, infatti, da almeno una settimana (e non sembra intenzionata a fermarsi a breve) la protesta dei taxi in tutta Italia per il disegno di legge approvato dal Senato e ora in discussione alla Camera, il ddl Concorrenza, che punta a liberalizzare il settore (anche se non è stato ancora detto come), ma anche per la pubblicazione dei cosiddetti Uber-files che mostrerebbero come la società di ride sharing avrebbe violato leggi e fatto pressioni negli ultimi anni su diversi governi per espandersi globalmente.
Sono anni che si cerca di trovare il modo di regolamentare il mercato, precisamente dal 1992 (anno in cui risale la legge che disciplina la differenza tra taxi e ncc, cioè noleggio con conducente), molto prima dell’arrivo nel 2013 della multinazionale americana Uber che ora appare come il nemico principale. Eppure, nulla è stato veramente fatto e mai come in questo caso striscioni e picchetti hanno spaventato politici e legislatori che si sono quindi limitati a rimandare negli anni il momento della regolamentazione, permettendo così l’innesto di dinamiche distorte e ormai molto intricate.
Ma se la legge ritarda e si fa influenzare dal sentimento politico ci ha pensato la tecnologia e l’economia. Un passo, infatti, è stato fatto verso un mercato e una piattaforma unica in cui taxi e ncc possano convivere e dividersi le corse grazie all’accordo con Uber per integrare i propri servizi di noleggio di auto private con autista con quelli offerti dall’applicazione di ItTaxi.
Che questa sia la soluzione a tutti i problemi? Ne abbiamo parlato con Attilio Mazzilli (nella foto sotto), partner responsabile del tech group italiano di Orrick, che ha partecipato all’operazione in qualità di advisor: “Si tratta di un passo importante. Non vedo strade diverse per risolvere quella che è diventata ormai più una battaglia ideologica”.
Cosa è stato fatto fino ad ora
Il settore del trasporto pubblico non di linea è ancora oggi regolamentato dalla legge del 1992. Negli anni i servizi di mobilità, però, sono cambiati e aumentati e, soprattutto, taxi e ncc (di fatto) offrono ormai sempre di più lo stesso servizio. Più volte quindi si è cercato di liberalizzare il mercato, ma tutti tentativi sono puntualmente falliti anche a causa dell’influenza che la categoria esercita sulla politica.
Invece che aprire il mercato alla concorrenza (e in un evidente tentativo di penalizzare il settore del noleggio con conducente), nel 2008 è stato introdotto per gli ncc l’obbligo di rientro con rimessa. Ogni volta che si caricava un cliente era poi obbligatorio rientrare – successivamente la corsa – in garage. Solo dopo si poteva uscire per prendere un nuovo cliente. La misura è stata poi dichiarata illegittima della Corte costituzionale nel 2020.
Cosa prevede il ddl Concorrenza
Il mercato, però, ha continuato ad evolversi e l’esigenza di intervenire da un punto di vista regolamentare è diventata sempre più urgente. Con il ddl Concorrenza si punta, così, a introdurre elementi di competizione per aprire un settore ormai fin troppo ingessato e chiuso per adeguare l’offerta all’uso delle applicazioni.
Ad essere fortemente contestato dai sindacati dei tassisti, però, è l’articolo 10 del ddl che delega al governo di adottare un decreto per modernizzare il settore del trasporto pubblico non di linea (cioè, taxi e servizi ncc). Il testo non introduce nell’immediato vere e proprie forme di liberalizzazione del settore, ma solo che il governo deve impegnarsi per garantire “una migliore tutela del consumatore”, adeguare “l’offerta di servizi alle forme di mobilità che si svolgono mediante l’uso di applicazioni web che utilizzano piattaforme tecnologiche per l’interconnessione dei passeggeri e dei conducenti” e promuovere “la concorrenza, anche in sede di conferimento delle licenze, al fine di stimolare standard qualitativi più elevati”.
In programma, quindi, c’è anche l’intenzione di aumentare il numero di licenze disponibili e cambiare i criteri per concederle, un altro punto su cui i tassisti si oppongono.
Perché i tassisti non sono favorevoli alle nuove misure?
Le proteste di questi giorni non sono una novità. I tassisti contestano da anni qualsiasi tentativo di liberalizzare il mercato o aumentare il numero di licenze a disposizione, ancora prima dell’arrivo dei vari ncc, di cui il più famoso Uber.
Quest’ultimo, soprattutto, è stato accusato dai tassisti di fare concorrenza sleale ed è stato incolpato di voler sottrarre clienti, operando senza licenze e in assenza di regolamentazione specifica. Anche per via dell’opposizione dei tassisti, ad oggi Uber – che è un servizio di noleggio auto con conducenti che fanno da autisti a pagamento – in Italia funziona diversamente rispetto agli altri Paesi: nel nostro, infatti, è illegale Uber Pop, il servizio in cui gli autisti non sono professionisti e che è molto diffuso all’estero (noto anche col nome UberX) ed è lecita solo la versione (Uber Black) in cui i conducenti sono muniti di licenza e partita Iva.
Lo scoglio della licenza
Il tassista può essere un libero professionista oppure un dipendente di una cooperativa o un socio di una azienda. Mentre gli ncc dipendono solo da loro stessi e dal rapporto con i clienti. Se il taxi devono stazionare in un luogo pubblico, garantire sempre il servizio, applicare delle tariffe determinate (anche se a volte capita che il tragitto è inspiegabilmente più lungo o inizia già al di sopra della soglia minima stabilita), gli ncc stabiliscono il corrispettivo del trasporto direttamente con il passeggero (e nel caso di Uber il prezzo della corsa si conosce al momento della prenotazione), la prestazione del servizio non è obbligatoria e i titolari di ncc (stabilito dal Dl semplificazioni) non potranno offrire il loro servizio di trasporto attraverso app di carsharing: in quest’ultimo caso, infatti, chi condivide la propria auto attraverso piattaforme digitali (ad esempio BlaBlaCar) può vedersi riconosciuto soltanto un rimborso per le spese sostenute. Questo perché il carsharing non è riconosciuta come un’attività professionale.
Un punto in comune tra taxi e ncc è che entrambi ricevono le licenze a livello comunale gratuitamente, ma per i tassisti non è così semplice ottenerle. I bandi per quest’ultimi, infatti, sono aperti di rado e, di conseguenza, negli anni si è creato un mercato secondario in cui i nuovi tassisti comprano la licenza dai vecchi a prezzi esorbitanti che vanno dai 150mila euro ai 300mila euro.
Ed è anche per questo motivo che i tassisti in questi giorni incrociano le braccia e da anni si oppongo alla liberalizzazione del settore. Liberalizzare il settore, infatti, da un lato significherebbe aprire il mercato garantendo concorrenza e riducendo così i prezzi delle tariffe sempre più alte e dall’altro che tutti i tassisti che fino ad ora hanno pagato le licenze perderebbero quei soldi (che non potrebbero riavere indietro rivendendo a loro volta ad altri la licenza).
“Non si può togliere il sistema delle licenze da un giorno all’altro. Ma è necessario aprire la platea fin troppo ristretta di conducenti. Il governo dovrebbe fare un piano per aumentare il numero di licenze disponibili, allargare gli spazi in cui non si può andare con la macchina e aiutare i tassisti che l’hanno già acquisita a questi prezzi con incentivi economici”, ha spiegato Mazzilli.
Verso una piattaforma unica
Un piccolo passo verso la regolamentazione del settore però c’è stato. Uber, infatti, ha trovato un accordo per integrare i propri servizi di noleggio di auto private con autista con quelli offerti dall’applicazione di ItTaxi, consorzio italiano che permette di prenotare un taxi nelle maggiori città del Paese.
In questo modo i taxi italiani che aderiscono al consorzio possano essere chiamati attraverso l’applicazione ItTaxi ed essere prenotati anche tramite l’app di Uber. Allo stesso tempo, i tassisti potranno accettare anche le corse richieste su Uber, oltre a quelle arrivate tramite l’app ItTaxi. Diventato operativo alla fine di giugno a Roma, si prevede di estendere il servizio nei prossimi mesi agli oltre 12mila taxi che aderiscono al consorzio ItTaxi, attivi in più di 90 città italiane. Ma anche, raggiungere le città in cui è già attivo il servizio Uber Black (l’unico ammesso in Italia): ad esempio, Milano, Torino, Bologna e Firenze.
In cambio Uber tratterrà una commissione sull’importo di ogni corsa effettuata dai tassisti (6% secondo il Corriere della sera) e richiesta tramite la propria applicazione, dove saranno integrati i dati di quella di ItTaxi. La speranza è che grazie all’accordo aumenti presto la clientela dei tassisti, raggiungendo anche le persone che utilizzano più spesso Uber, anche i turisti: dopotutto, nel 2021 le richieste di noleggio auto in Italia fatte tramite Uber sono state 6,7 milioni, riporta l’azienda.
“Buona parte dei tassisti si sono resi conto che questo accordo può agevolare anche loro e che Uber non è un loro nemico ma può essere un alleato. Si tratta di un passo significativo che ha superato anche i tempi del legislatore. Ci abbiamo girato intorno per tanti anni e poi ci siamo arrivati non tramite una modifica sostanziale della legge, ma attraverso un accordo economico”, ha spiegato il partner di Orrick.
A parlare saranno i risultati e i guadagni e proprio da questi, ha aggiunto Mazzilli, si punta a costruire quella che potrebbe essere la soluzione in grado di sciogliere i nodi di tutto il mercato. “L’utente dovrebbe poter scegliere una macchina piuttosto che un’altra e sarebbe più facile se si trovassero tutte all’interno della stessa applicazione. Questo è quello che dovrebbe fare il governo: puntare a realizzare un’unica associazione nazionale dei tassisti, stabilire delle soglie di tariffa unica e, soprattutto, avere un’unica piattaforma con diretto accesso a quella di Uber utilizzata obbligatoriamente da tutti gli operatori della mobilità”.