Cinque partite aperte. Da chiudere in fretta. Senza Mario Draghi diventerebbe tutto più complesso, perché elezioni anticipate comportano sempre forti ritardi se non cambi di di direzione da parte di un eventuale nuovo governo.  Ecco perché se a capo dell’esecutivo dovesse invece rimanere l’attuale premier allora l’Italia sarebbe ancora in corsa. Ma il tempo stringe. Ha detto così il ceo di Lufthansa Carsten Spohr: “Sono preoccupato, la procedura sta rallentando. Ho scritto alla presidenza del consiglio perché Ita ha bisogno di un partner in tempi rapidi”. Ita Airways è soltanto uno dei dossier che scottano sul tavolo di Palazzo Chigi, ed è in buona compagnia, assieme a Montepaschi, Telecom, Acciaierie Italia (ex Ilva) e Saipem.

C’è bisogno di chiudere in tempi rapidi, diceva l’amministratore delegato di Lufthansa. Negli ultimi giorni questi tempi rapidi sono sembrati sempre più utopia con le dimissioni di Draghi, poi congelate dal presidente della Repubblica. Se il capo del governo dovesse mollare per davvero, il rischio è che gli ulteriori e inevitabili ritardi su queste partite andrebbero ad aggravare una situazione già complicata, tra esuberi, lavoratori in cassa integrazione e aziende che più passa il tempo, più si svalutano.

Ita Airways, l’ultima parola è di Draghi

Ita Airways è a caccia di un partner industriale con cui avviare una trattativa in esclusiva. Lufthansa e Msc da una parte, il fondo di private equity Certares con Air France-Klm e Delta Airlines dall’altra. L’ultima parola ce l’ha la presidenza del Consiglio. L’intervento di Spohr è un chiaro segnale di preoccupazione nei confronti di tempi sempre più dilatati e aggravati dalla crisi di governo, dopo la relazione scritta che gli advisor hanno inviato a Daniele Franco, ministro dell’Economia, nel weekend tra l’8 e il 9 luglio, esprimendo la propria preferenza. Fino a qualche giorno fa i favoriti sembravano Lufthansa e Msc. Ma in questi giorni proprio il ruolo di Delta, compagnia americana, potrebbe rilanciare le possibilità di Certares, che a questo punto spera nei “tempi supplementari”, proponendo più rotte negli Stati Uniti e più potere al Tesoro.

Mps tra i più venduti a Piazza Affari durante la crisi

Che ne sarà di Mps? Il Mef possiede il 64,23% del Monte dei Paschi che ha perso quasi 15 punti percentuali nei due giorni della notizia delle dimissioni di Draghi. La sola presenza a Palazzo Chigi dell’ex governatore della Bce ha consentito la proroga dei tempi di uscita dello Stato dalla banca senese attraverso la trattativa tra Mef e DgComp, la Direzione Generale della Concorrenza della Commissione Europea. Un via libera proprio in virtù della stabilità offerta dalla figura del premier, le cui dimissioni, per ora, sono congelate. Il piano dell’ad Luigi Lovaglio di ristrutturare e vendere la banca a privati, d’accordo con Bce e Ue, ha visto più volte un coinvolgimento di Unicredit come partner ideale, finendo però sempre con un nulla di fatto. In autunno è in calendario un aumento di capitale a 2,5 milardi.

Lovaglio presenterà la semestrale in agosto: “Grazie all’appoggio del Mef ci sentiamo sostenuti su tutta la linea” ha detto, sottolineando l’importanza della presenza del governo. In linea il presidente della commissione Banche Carla Ruocco: “Mandare il Paese al voto in questo momento è un’idea scellerata che genera problemi al Paese e tra questi dobbiamo annoverare anche Mps, che è comunque in una strada di recupero e di attivazione rispetto al piano industriale”.

Tim, il ruolo di Cdp

Da quando Draghi ha annunciato le dimissioni, il titolo ha perso il 16%. Tim è una delle compagnie che in borsa sta soffrendo maggiormente la crisi di governo. Perché è proprio di un piano strategico del governo che la società, fortemente indebitata (come Ita) avrebbe bisogno per rilanciarsi definitivamente. Il piano industriale vuole produrre utili, anche attraverso tagli e scivoli volontari (circa 9.000 lavoratori). L’obiettivo principale di Tim tuttavia resta la fusione con Open Fiber ed è qui che il ruolo del governo diventa fondamentale. Perché la compagnia tlc è controllata per il 9,8% da Cassa Depositi e Prestiti, controllata per l’83% dal Mef. Cdp che a sua volta controlla anche il 60% di Open Fiber. Il puzzle è molto complesso, ed ecco perché il ruolo di un esecutivo solido ed efficiente sarà determinante.

Acciaierie d’Italia madre di tutte le vertenze

Per i sindacati è la “madre di tutte le vertenze”. Il 26 luglio prossimo è stato convocato il nuovo tavolo per Acciaierie d’Italia, ex Ilva, con 10.600 addetti. Madre di tutte le vertenze perché la vicenda ha una storia infinita, da quando nel 2019 ArcelorMittal, pochi mesi dopo aver rilevato l’azienda, ha comunicato l’intenzione di recedere dal contratto di cessione, procedendo entro 30 giorni alla restituzione ad Ilva, in amministrazione straordinaria. Allo studio oggi è una nuova società pubblico-privata il cui piano industriale prevede la completa decarbonizzazione di Taranto entro dieci anni, e il ritorno alla piena occupazione a fine 2025: attualmente, però, sono circa 3mila i lavoratori in cassa integrazione e 1.700 quelli in cigs di Ilva in amministrazione straordinaria.

I sindacati accusano il governo di ‘immobilismo’ e l’azienda di aver mancato il timing di ritorno alla produzione previsto dal piano. Intanto ArcelorMittal e Invitalia, società controllata dallo Stato italiano entrato nel 2021 ed entrata con il 50% nella società, hanno firmato la proroga all’accordo su Acciaierie d’Italia, dandosi altri due anni per la salita dello Stato dal 38 al 60% per 680 milioni, quanto serve per acquistare gli asset oggi in affitto.

Saipem e l’accordo di Draghi in Algeria

Delicata infine anche la situazione della controllata da Eni e Cdp con il 44%. In linea teorica Saipem dovrebbe avvantaggiarsi grazie ai nuovi accordi stretti da Mario Draghi in Algeria, soprattutto attraverso i progetti di nuovi gasdotti attraverso il Sahara. A Piazza Affari la compagnia sta attraversando un momento di estrema volatilità, e questo solo per usare un eufemismo, dopo una complicata operazione di aumento di capitale da 2 miliardi. Il ruolo di Saipem nella gestione dell’emergenza energetica del Paese dunque sarà fondamentale. Ma alla volatilità già forte si è aggiunta la crisi di governo, mettendo ancor più sotto pressione la società, che in caso di dimissioni del premie potrebbe veder venir meno gli accordi preesistenti in Algeria. 

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