Medioriente. America Latina. Sudafrica. Ci sono paesi emergenti che potrebbero beneficiare dello shock causato dall’aumento dei prezzi delle materie prime. E quindi, come spiega un recente report di Pictet Asset Management a firma Marco Piersimoni, Senior Investment Manager, e Flora Dishnica, Product Specialist, potenziali occasioni di investimento.

Ci sono alte probabilità che l’Europa possa uscire dal conflitto tra Russia e Ucraina con le ossa rotte, per via della sua forte dipendenza dall’importazione dell’energia di cui ha bisogno (circa il 60%). Al contrario, gli Stati Uniti, figurano tra i maggiori produttori mondiali di gas e petrolio. E infatti hanno già avviato un aumento della produzione sia per il fabbisogno interno, sia da destinare al vecchio continente. Ci sono poi altri paesi che potrebbero tornare protagonisti sul mercato dell’oro nero, come Iran e Venezuela, mentre un discorso a parte merita la Cina. La relazione commerciale con la Russia prosegue per il momento a pieno regime, con la possibilità di diventare ultimo acquirente a prezzi convenienti di molte materie prime russe. Tuttavia la politica di zero-Covid in vigore molto stringente sta causando forti rallentamenti all’attività economica del paese, con probabili conseguenze al ribasso sulla domanda delle materie prime. La Cina, va ricordato, è uno dei principali paesi consumatori al mondo.


Grafico Petrolio Wti by tradingeconomics.com

Cosa esportano Russia e Ucraina

La Russia esporta nel mondo il 10% totale di greggio e il 6% di gas. Ruolo fondamentale, quello del Cremlino, anche per quanto riguarda i metalli industriali. L’export del palladio, un metallo molto utilizzato nelle marmitte catalitiche delle autovetture, dipende da Mosca per il 45% mentre sul platino, il peso della Russia è del 15% sull’export totale. Molto rilevante è anche la percentuale totale russa sull’esportazione dei fertilizzanti azotati: 12,6%. L’importanza dell’Ucraina è invece legata soprattutto ai cereali. Da sola, Kiev pesa per il 10% delle esportazioni globali di grano, per il 14% di quelle di mais, per il 17% di quelle di orzo e per il 51% di quelle di olio di semi di girasole. Il granaio d’Europa però produce buona parte dei suoi beni agricoli nelle aree dove attualmente si svolge la guerra. Tradotto: le esportazioni di quest’anno e le prospettive per le prossime stagioni sono a rischio.


Grafico Palladio by tradingeconomics.com

Paesi emergenti: India in bilico

Uno dei paesi più legati alla Russia è l‘India, forte importatrice di beni. Da una parte il paese asiatico si ritrova a subire l’aumento dei prezzi dei fertilizzanti, fondamentali per la produzione nazionale di beni agricoli come grano e riso, necessari per coprire il fabbisogno domestico. Dall’altro, come detto, essendo ancora attivo il commercio con la Russia, importa petrolio con contratti a sconto che aiuteranno ad attenuare l’effetto inflazionistico del rincaro energetico. I Paesi importatori di energia e beni alimentari, dunque, soffrono per due motivi. Il primo sono gli effetti diretti dell’aumento del costo di approvvigionamento di questi beni. Il secondo, l’effetto secondario tramite il canale dell’inflazione che, in risalita quasi dovunque, mette pressione sulle politiche economiche interne.

In ginocchio Egitto e Turchia

E questo significa guai per paesi come Egitto e Turchia. Il loro import dipende molto dai 2 paesi in guerra. Circa la metà delle importazioni di grano del Cairo arriva dalla Russia, un ulteriore 30% dall’Ucraina. Per la Turchia, invece si sale al 70% del grano importato da Mosca, e un 15% da Kiev. Inoltre, la Turchia soffre del calo del flusso dei viaggiatori, da sempre molto legato al turismo russo. Ci sono infine altre economie minori che dipendono in misura significativa dalle importazioni agricole da Russia e Ucraina: Pakistan, Bangladesh, Libia, Marocco e Tunisia.


Grafico Rame by tradingeconomics.com

Il ruolo del Sudamerica e l’importanza del rame

I paesi più predisposti a trarre vantaggio dall’aumento del costo del greggio sono i grandi produttori di petrolio concentrati in Medio Oriente, Arabia Saudita in primis. C’è poi l’America Latina, in grado non solo di soddisfare autonomamente il proprio fabbisogno di energia, ma anche di esportare buona parte della propria produzione. Il Sud America è un’area molto ricca in risorse naturali. E infatti gli indici azionari sono costituiti per buona parte da settori energy e materials (tra il 20% e il 45%). Settori che ben prima dello scoppio della guerra erano stati premiati dagli investitori per le prospettive di risalita dei prezzi delle materie prime.

Paesi come il Cile ad esempio, il più grande produttore al mondo di rame, non può che beneficiare anche dalle prospettive di una più rapida transizione energetica tramite la produzione da fonti rinnovabili. Proprio il rame, altrimenti detto oro rosso, è uno tra i componenti più importanti per lo stoccaggio e distribuzione di energia rinnovabile. O ancora il Sud Africa, Paese esportatore di metalli come ferro e platino che ha visto di recente incrementare i ricavi dal commercio, a sostegno del bilancio dello Stato e della valuta.

I casi di Angola ed Ecuador

In generale, i Paesi esportatori di materie prime in America Latina, Medio Oriente e Africa, oltre a essere geograficamente isolati dal conflitto, trarranno vantaggio dall’aumento del prezzo del petrolio, dei metalli e di altre materie prime. Il debito, unico strumento facilmente a disposizione degli investitori internazionali in Paesi come Angola ed Ecuador (esportatori di petrolio), ha registrato ottime performance negli ultimi mesi.

Anche le valute possono rivelarsi molto utili in tal senso: non a caso, real brasiliano e rand sudafricano sono state tra le migliori divise emergenti in questo periodo mentre da monitorare ci sono anche lo yuan cinese e il peso messicano. Proprio il Brasile, assieme all’Arabia Saudita, l’America Latina e il Sud Africa, secondo il fondo Pictet-Emerging Markets MultiAsset (Emma) appaiono i  veri vincitori nel contesto attuale.


Grafico Real brasiliano / Dollaro Usa by tradingeconomics.com

Europa, ecco i paesi emergenti più colpiti dal conflitto

Da qui in avanti, è probabile che gli esportatori di materie prime, i paesi ad alto rendimento e i paesi lontani dal conflitto continueranno a sovra-performare l’universo dei Paesi emergenti. Almeno fino a quando le tensioni geopolitiche non si affievoliranno. Il conflitto in Ucraina ha sconvolto il mondo intero, causando una grave crisi sociale e umanitaria, oltre che economica. Proprio in questi giorni il Fondo Monetario Internazionale ha abbassato le stime per la crescita del Pil globale nel 2022 dal 4,4% al 3,6%. Le aree più colpite sono quelle limitrofe al conflitto, una porzione dell’Europa emergente (Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e via dicendo) danneggiata non solo per le importazioni da Russia e Ucraina ma anche attraverso altri canali dell’economia, come il turismo.

Lascia un commento

Articolo correlato