Titoli di Stato in Europa travolti dalla tempesta perfetta. Lo spread torna a preoccupare. L’Italia torna a preoccupare. Per i mercati finanziari persino la Grecia è più affidabile di noi. Ma è un allarme che riguarda anche gli altri paesi dell’Eurozona.

I motivi? I soliti. Il prezzo del petrolio che sale. I tassi d’interesse alti. L’inflazione che non scende e la Bce che sta alleggerendo il bilancio (tradotto: sta riducendo drasticamente gli acquisti). Cosa cambia rispetto a prima? Iniziano a vedersi gli effetti.

E così i prezzi dei titoli di stato europei sono precipitati. E di conseguenza i rendimenti sono schizzati sui livelli record.  Il Bund tedesco ha raggiunto quota 2,9%. Mai così in alto dal 2011. Il Btp italiano decennale il 4,9%, sui massimi dal 2012. Il decennale francese rende il 3,5% come non accadeva da 12 anni mentre i bonos spagnoli, con il loro 4% di rendimento, hanno pareggiato il livello del 2014.

La situazione dell’Italia: Nadef, deficit e Pil

Mercoledì il governo Meloni ha alzato gli obiettivi di deficit fiscale, tagliando le previsioni di crescita per quest’anno e il prossimo. In realtà lo stanno facendo un po’ tutti i Paesi dell’Ue. Lo ha fatto anche la Francia, per intenderci mentre è ben diversa, e per certi versi ancora più delicata, la situazione in Germania. Una scelta, quella del deficit di bilancio maggiore di quanto previsto, che però i mercati stanno interpretando non solo come qualcosa di ciclico, ma che è destinato a diventare strutturalmente più elevato, sempre per i motivi già elencati, tassi d’interesse che rimarranno alti in primis.

Il problema dell’Italia? Quest’anno il deficit fiscale previsto dall’esecutivo all’interno del Nadef, la nota di aggiornamento del Def, documento di Economia e finanza fondamentale per la stesura della nuova legge di bilancio, si attesterà al 5,3% del Pil, in deciso aumento rispetto al 4,5% fissato ad aprile. Palazzo Chigi parla di un’impennata dei costi come causa principale, ma il Financial Times cita anche un “controverso regime di credito d’imposta per le migliorie domestiche”.

Il governo Meloni ha anche aumentato l’obiettivo di deficit per il prossimo anno: sarà del 4,3% del Pil, più elevato rispetto al +3,7% stimato in precedenza, livello che, sempre secondo quanto riportato dal Financial Times, “avrebbe consentito il finanziamento delle principali priorità politiche del centrodestra, tra le altre, aiuto alle famiglie con basso reddito e incentivo alla natalità”. Prodotto interno lordo che peraltro è stato a sua volta rivisto al ribasso: +1,2% nel 2024, in frenata rispetto al +1,5% stimato ad aprile. Il debito? 140,1%, pressoché invariato se si considera che la previsione precedente era 140,2%.

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L’andamento dello spread nel mese di settembre (Grf by  Tradingview)

Gli effetti sullo spread e sui Btp

Così il Nadef ha ulteriormente messo sotto pressione il mercato obbligazionario proprio a partire da quello italiano. Già in sofferenza per i tassi alti, l’inflazione che non scende, il prezzo del petrolio che sale e la Bce che ha ridotto il bilancio. Spread a 200 punti base, di nuovo soglia di attenzione che non si vedeva da marzo, periodo della crisi bancaria americana.

Nella sola giornata di giovedì il Mef ha venduto 3 miliardi di titoli di stato decennali: nel 2033 dovrà restituirli con un rendimento del 4,9%, interessi mai così alti negli ultimi undici anni, se si considera che neanche un mese fa il Btp rendeva il 4,2%.

Quali sono i motivi?

Spread di nuovo a 200 punti base, si diceva. Una soglia di attenzione che, con un governo stabile, può sembrare insolito. Spiega Eugenio Sartorelli, docente nei corsi istituzionali Siat, founder e risk manager di Rocket Capital Investment, hedge fund con sede a Singapore: “Un governo stabile non basta. Se fosse instabile la situazione sarebbe certamente peggiore. E tra 9 mesi ci saranno le elezioni europee. Lo spread rimane sotto controllo finché la Bce compra titoli di Stato. Ma con l’alleggerimento del bilancio, le cose cambiano. E ricordiamo che la Banca centrale europea detiene il 30% del nostro debito, non è poco”.

Questo però è solo l’aperitivo. Continua Sartorelli: “Il problema vero è che il sistema Italia non è ancora considerato affidabile e siamo in un momento in cui tutti i Paesi dell’Eurozona non sono più nella fase helicopter money’ degli ultimi due anni, periodo in cui le istituzioni europee hanno messo a disposizione ingenti risorse per la ripresa post Covid. Ora bisogna fare i conti senza tutto quel denaro e diventa difficile per tutti tornare alle vecchie condizioni. L’aumento della soglia del deficit fiscale si può spiegare, semplificando molto, così”.

Ed è qui che scatta il problema relativo all’Italia. “Sì perché se sei la Germania, che dichiara un debito/Pil del 60%, puoi anche permetterti di far slittare gli obiettivi del deficit. Chi invece supera abbondantemente il 100%, per carità, puoi farlo, ma i rischi decisamente maggiori”.

L’analista Eugenio Sartorelli

Perché lo spread è più alto che in Grecia

Recentemente il governo Meloni ha dichiarato che il Pil italiano cresce più degli altri principali Paesi europei. Ma per il 2024, come anticipato, le cose cambieranno, vedi la revisione al ribasso della crescita registrato dal ministero del Tesoro stesso: dal +1,2% al +0,8%. “Il Pil è cresciuto tanto perché l’Italia è il Paese che ha ricevuto più risorse dall’Europa. Inevitabile che il prodotto interno lordo cresca quando aumentano gli investimenti pubblici con i soldi dell’Ue. Se sono stati spesi bene o male, lo vedremo tra anni. Ma ovviamente l’anno prossimo non potranno esserci gli stessi investimenti. Il Pil scenderà mentre il debito, com’è evidente, aumenterà ulteriormente”.

Ci sono poi da fare un paio di confronti. Con la Grecia. E con gli Stati Uniti. Il decennale ellenico ha un rendimento minore rispetto a quello italiano: 4,3%. Questo significa che i nostri titoli di stato costano meno di quelli greci. E infatti anche lo spread con il Bund tedesco è inferiore: 147 punti base per Atene.

“Ma ancora più paradossale è il paragone con gli Stati Uniti. Il rendimento dei nostri Btp è molto simile al T-note Usa. In entrambi i casi siamo al di sopra del 4,5%. E questo dal punto di vista finanziario è un dato clamoroso. Perché il tasso di rendimento deve rispettare l’economia di ciascun Paese. Solo che il rating Usa, fino a poco tempo fa, era AAA. Quello italiano è BBB, se non anche inferiore”.  In definitiva: un conto è un 4,5% di un Paese con l’economia e il rating degli Stati Uniti (che pure ha un debito enorme). Un altro conto è il 4,5% di un Paese con la crescita, il rating e il debito dell’Italia.

 


L’andamento del Btp decennale (Grf tradingeconomics.com )

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