Per la prima volta il principale operatore telefonico di un grande Paese europeo si separa dalla propria rete fissa. Ancora oggi, primo luglio, giorno del tanto atteso closing dello scorporo della rete, Tim rappresenta la componente principale dell’infrastruttura delle telecomunicazioni italiane: raggiunge quasi l’89% delle abitazioni e si estende per oltre 23 milioni di chilometri in tutto il Paese. E questo è solo uno dei tanti motivi per cui la cessione al fondo Usa Kkr rappresenta la fine di un’era. 

Con la firma dell’atto presso lo studio del notaio Carlo Marchetti, a Milano, lo storico quartier generale di Corso Italia a Roma viene completamente svuotato. Entro l’estate verrà trasferita l’agenzia per cybersicurezza nazionale, guidata da Bruno Frattasi. Più della metà dei dipendenti italiani verranno trasferiti: in ventimila si trasferiranno in Fibercop, che detiene la rete secondaria di Tim. Gli altri 16.000 lavoratori rimangono in Tim, il cui quartier generale da diversi anni è Milano, e che diventa così una società commerciale di servizi ai consumatori e servizi evoluti per le imprese.

La nuova veste di Tim si contraddistinguerà per una maggiore flessibilità commerciale per competere nel mercato nazionale dei servizi retail, ma anche maggiori opportunità di operazioni m&a. In Italia opererà tramite Tim Consumer sul mercato dei servizi Internet e telefonia per i clienti privati e le piccole aziende, mentre Tim Enterprise fornirà servizi di connettività, cloud e sicurezza informatica per le grandi aziende. In Brasile, Tim continuerà ad operare con la controllata Tim Sa (Tim Brasil).

Perché Tim sta vendendo la rete: i numeri

Dopo anni di sforzi infruttuosi per ristrutturare le attività nazionale, i cui utili e ricavi sono in flessione da anni, messa inoltre sotto pressione dall’aumento dei tassi d’interesse e dalla forte concorrenza sui prezzi del mercato nazionale, il famoso e delicato dossier dello scorporo della rete va dunque in porto. Tim ha preso la decisione di cedere il proprio asset principale con l’obiettivo di rientrare da un debito netto di 27 miliardi di euro. Il fondo americano Kkr ha valutato l’intera rete di Tim 18 miliardi di euro. Con un earnout di tre miliardi legati a un’eventuale fusione con Open Fiber. 

L’obiettivo principale del prossimo futuro è proprio questo. Creare una nuova rete unica, permettendo così a Tim di alzare l’incasso dalla vendita a 22 miliardi di euro. La riduzione prevista della leva finanziaria è pari a 14 miliardi di euro, portando a 1,6 – 1,7 volte l’Ebitda after lease. La nuova società proprietaria della rete, Optics Holdco, sarà controllata da Kkr ma non è l’unico a detenerne le quote (sarà attorno al 48%). Il fondo infrastrutturale italiano F2i avrà un 11,2%, mentre Adia, fondo sovrano di Abu Dhabi, e Canada Pension Plan avranno quote rispettivamente del 6,4% e del 17,5%. Un ruolo ce l’avrà anche il governo, visto che l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni ha approvato l’operazione come parte di un più ampio accordo con Kkr, che prevede l’ingresso del Tesoro nella società della rete, d’importanza strategica, con una quota fino al 20% (dovrebbe essere attorno al 16%).

Fibercop, che come detto gestisce la rete secondaria, ovverosia quella che va dagli armadi stradali fino alle case, passerà interamente a Optics Holdco ed è partecipata da Tim per il 58% e da Kkr per la quota rimanente, che è la somma del 4,5% fino a gennaio scorso di proprietà di Fastweb e del 37,5% già in possesso al fondo Usa. Il Ceo è l’ex numero uno delle Ferrovie Luigi Ferraris mentre il presidente resterà Massimo Sarmi. In Open Fiber, fondata da Enel, c’è infine la strategica partecipazione di Cdp del 40%, mentre il fondo Usa Macquarie detiene la maggioranza del 60%.

Il ruolo di Vivendi

Il maggiore azionista di Tim, la società francese Tlc Vivendi, sta contestando in tribunale la decisione di vendere la rete e mette in dubbio la sostenibilità delle attività rimaste. Viene contestato il fatto che la scelta di vendere non sia passata dall’assemblea. L’auspicio del gruppo transalpino è che l’anno decisivo per smarcarsi senza dover svendere la quota, che poi è il timore principale, sia il 2025.

Arnaud de Puyfontaine, Ceo di Vivendi, ha ribadito lo scorso mese di aprile che il punto non è essere favorevoli o contrari alla vendita della rete, ma che vengano rispettati i diritti del maggiore azionista e soprattutto che la cessione avvenga al giusto prezzo (per Vivendi in buona sostanza i 18,8 miliardi accordati è una cifra troppo bassa).

Cosa succederà, le prossime tappe

Riflettori puntati sul prossimo consiglio di amministrazione che si riunirà il 31 luglio prossimo. Verranno esaminati i risultati finanziari preliminari per il periodo fino alla fine di giugno (qelli ufficiali saranno invece approvati a settembre). Un appuntamento che verrà seguito attentamente dagli investitori dopo il -24% del titolo Tim a Piazza Affari il giorno della presentazione del piano industriale di Netco da parte del Ceo Pietro Labriola, penalizzato da un debito considerato ancora eccessivo: 7 miliardi circa.

Nella seduta odierna, Tim guadagna il +1,4% in una seduta positiva per Piazza Affari complice la buona reazione dei mercati europei ai risultati del primo turno elettorale in Francia, dove la destra ha conquistato un 34% considerato al di sotto delle previsioni in vista del ballottaggio. Tim vale 0,227 circa ed è in lateralità da metà giugno, prima resistenza 0,2330 euro ad azione.

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