Nel primo Consiglio dei Ministri convocato dopo la pausa estiva il Governo ha dato semaforo verde all’ingresso del Mef in Netco, la società costituenda che incorpora gli asset infrastrutturali di Tim. Contestualmente l’esecutivo ha approvato un decreto per trovare la copertura finanziaria dell’operazione, mettendo sul piatto una cifra fino a 2,2 miliardi di euro. Una cifra che è compatibile con l’offerta di Kkr che valuta l’enterprise value della società tra i 20 e i 23 miliardi.

Tim, i due decreti del governo

Nella serata di ieri il governo ha approvato due decreti. Con il primo ha convalidato il MoU siglato lo scorso dieci agosto tra il Mef e il fondo americano Kkr, in base al quale il Tesoro entrerà nel capitale di NetCo con una quota compresa tra il 15 e il 20% per un esborso massimo di 2,2 miliardi di euro. Un 35% sarà destinato ad un gruppo di soggetti italiani con cui l’esecutivo sta già dialogando, mentre il fondo avrà una quota del 65%.

Il secondo provvedimento, invece, riguarda le risorse per l’investimento che verranno reperite dalle disponibilità che restano (pari a 2,5 miliardi) del cosiddetto “patrimonio destinato” creato dal Mef nel 2020 per operazioni su società di rilievo strategico.

Meloni, diamo una prospettiva a Tim

Nel sottolineare “il significato politico delle nostre decisioni”, ha detto la premier Giorgia Meloni, “è venuto ora il momento di dare una prospettiva a quello che è stato uno dei campioni internazionali delle telecomunicazioni“.

Un atto, precisa la presidente del Consiglio, che avviene “dopo aver trovato una soluzione seria per Ita con un accordo con Lufthansa, Commissione europea permettendo, e che a volte solleva problemi che difficilmente capiamo”.

Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha illustrato l’impegno finanziario dello Stato in Netco, fino a 2,2 miliardi, che è finalizzato “all’utilizzo di poteri speciali e a incidere su questioni di sicurezza su una infrastruttura decisiva per il futuro del Paese”.

Giorgetti si è anche soffermato sul ruolo del fondo americano, spiegando che “Kkr non è nuova a Tim; esiste già la quota in Fibercorp ed è quindi un naturale interlocutore. Quello che interessa al governo, è ribadire il controllo pubblico su alcune scelte strategiche”.

I prossimi passi

Il via ibera del Mef è solo un tassello di un iter che vede come primo appuntamento importante il 30 settembre, termine ultimo entro cui Kkr dovrà presentare al Board della società guidata da Pietro Labriola una offerta vincolante per NetCo. Proprio per questo i colloqui tra il Mef e il fondo americano subiranno una forte accelerazione, per arrivare a quella data con una formulazione finale dell’offerta.

Nel dettaglio dovranno essere definite le prerogative di governance a favore della compagine azionaria pubblica che potrebbe avere in pancia una quota fino al 35%. Oltre al Mef, il governo sta dialogando da tempo con F2i che è interessata a rilevare una quota fino al 15%. 

Anche Cdp dovrebbe essere della partita con una quota, meramente finanziaria, del 3% visto che la Cassa è azionista di Open Fiber. Lo stesso Giorgetti ha parlato di un “possibile coinvolgimento della Cassa, tenendo conto dei vincoli Antitrust”.

Al Fondo americano, come detto, andrebbe invece il 65% di Netco.

Il nodo Vivendi

Una volta che Kkr presenterà l’offerta, questa dovrà essere approvata da Tim. E’ probabile che Labriola decida di convocare un’apposita assemblea entro la fine dell’anno. Non è chiaro se l’assise verrà convocata in sede ordinaria o straordinaria; quest’ultima soluzione è molto gradita al primo socio di Tim, Vivendi, da sempre contrario alla vendita, visto che con il suo 24% potrebbe esercitare un diritto di veto all’operazione.

Per stemperare i toni con i francesi, nei prossimi giorni è atteso un incontro tra il governo e i vertici di Vivendi per rendere la strada dell’operazione più agevole; anche perché i francesi ritengono che una giusta valorizzazione dell’asset non debba essere inferiore ai 27-28 miliardi di euro.

 

 

Lascia un commento

Articolo correlato