Stefano Siragusa (nella foto di copertina) assume il ruolo di vice del direttore generale Pietro Labriola di Tim. La nomina s’inserisce nel quadro della nuova organizzazione del gruppo di telecomunicazioni.

Lasciano Tim, si legge in un comunicato stampa, Nicola Grassi (chief technology & operations officer) e Carlo Nardello (chief strategy, business development & transformation officer). I due manager erano entrati in carica sotto la gestione di Luigi Gubitosi, l’ex amministratore delegato che ha rimesso deleghe operative, pur continuando a sedere nel cda.

La nuova organizzazione

La funzione chief technology & operations officer confluisce nella nuova funzione chief network, operations & wholesale office, affidata a Siragusa.

La nuova funzione chief strategy & business development office viene affidata ad interim a Claudio Ongaro. Inoltre, vengono costituite la funzione chief consumer, small & medium market office, che viene posta in capo ad interim a Labriola, la funzione chief enterprise market office, affidata a Massimo Mancini, e la funzione brand strategy & commercial communication, affidata ad interim a Sandra Aitala.

La funzione procurement va ad interim a Simone De Rose, mentre Paolo Chiriotti, alle dirette dipendenze del direttore generale, è il riferimento per la gestione dei progetti di business transformation.

Gli advisor e le strategie

Tim, intanto, ha reclutato gli advisor per valutare l’offerta di Kkr ed eventuali opzioni alterntive. Alla prossima riunione del 17 dicembre, il cda dovrà esprimersi sulla manifestazione d’interesse avanzata dal fondo Usa oltre due settimane fa.

Gli advisor del comitato presieduto da Salvatore Rossi – cui partecipano Paolo Boccardelli, Marella Moretti, Ilaria Romagnoli e Paola Sapienza – sono Goldman Sachs e LionTree, boutique Usa specializzata in tlc, per quanto riguarda gli aspetti finanziari. In qualità di advisor legale è stato scelto lo studio Gatti Pavesi Bianchi Ludovici (GPBL). Lo studio è al lavoro con un team molto corposo, composto da circa quindici professionisti, coordinato dagli equity partner Francesco Gatti e Carlo Pavesi.

Gli advisor, spiega la nota Tim emessa nella tarda serata del 6 dicembre, “supporteranno il consiglio di amministrazione di Tim nelle analisi e valutazioni della manifestazione indicativa non vincolante, con riferimento, tra gli altri, alla sua sostenibilità finanziaria, al suo razionale industriale e a eventuali incertezze o rischi attuativi”. Supporteranno, inoltre, il consiglio nelle “analisi volte a valutare gli impatti sugli assetti proprietari, occupazionali, manageriali e di governance delle operazioni prospettate, tenuto conto della natura dell’attività del gruppo e dei suoi asset e di ogni altro profilo anche di pubblico interesse”. Infine, gli advisor supporteranno il consiglio anche nell’analisi di “possibili alternative strategiche per la miglior valorizzazione e/o sviluppo del gruppo e dei suoi asset nell’interesse della società, dei suoi azionisti e stakeholder”.

Vivendi, azionista con il 23,9% capitale, si è detta disponibile a considerare qualsiasi soluzione che promuova l’efficienza e la modernità della rete, aperta nel caso anche all’ipotesi di un controllo statale dell’infrastruttura. Il progetto che sta delineando Vivendi non può prescindere dal coinvolgimento di Cdp, secondo azionista di Tim e braccio armato finanziario del governo, che, nel frattempo, ha rilevato il 60% del capitale di Open Fiber.

Trovare la quadra fra tutela degli interessi strategici pubblici sulla rete, che potrebbe spingere il governo a usare il golden power, e progetti industriali di soggetti privati non è facile. Anche perché la Commissione Ue ha sbarrato la strada, per ora solo informalmente, all’ipotesi di rete unica.

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