Del Third party funding (Tpf) non esiste ancora una definizione condivisa o istituzionalizzata, in attesa anche di una vera prima direttiva a livello Ue. Tuttavia, si può considerare Tpf, in generale, il contratto con cui un finanziatore professionale paga in tutto o in parte le spese del procedimento e i costi connessi all’esito eventualmente negativo del procedimento in cambio di una percentuale del credito ottenuto in caso di vittoria. Uno scenario che apre opportunità anche nel caso di arbitrato. Ma anche un mercato, che stando ai primi dati che la Camera arbitrale di Milano (Cam) ha fornito a Dealflower, supera i 100 milioni di euro. Una cifra che però riguarda ancora pochissimi casi – anche internazionali – presi in esame. Ne abbiamo ha parlato con Rinaldo Sali, Vice Direttore della Camera Arbitrale di Milano (nella foto).

 

Quali sono secondo lei le principali opportunità del Tpf?

Il Third Party Funding (Tpf) è uno strumento di recente diffusione nel sistema della giustizia. Più utilizzato all’estero – del resto affonda le sue radici nei Paesi di common law – comincia lentamente ad affermarsi anche in Italia, perché offre diverse opportunità sia per i procedimenti giudiziari ordinari sia per gli arbitrati. Una delle più importanti opportunità offerte dallo strumento è quindi la sua capacità di dare risposte a una evidente esigenza del mondo del contenzioso di finanziare cause o arbitrati in materie complesse e di solito per importi elevati.  Il costo delle liti può essere un elemento frenante, tale da scoraggiare il ricorso alla giustizia, specie nei confronti di controparti economicamente forti. Il Tpf consente, dunque, a una parte che non può o non vuole sostenere i costi del contenzioso di poter affrontare il giudizio senza sopportare alcun costo, compresi i rischi di soccombenza.   Per le parti si tratta di una maggiore possibilità di accesso alla giustizia. Per i finanziatori (fondi o altro) è un’occasione di diversificazione e di investimento.

Qual è la situazione attuale in Italia?

L’istituto del Tpf non è ancora particolarmente diffuso in Italia e il suo utilizzo resta molto limitato, anche nei procedimenti arbitrali. Come Camera Arbitrale di Milano cominciamo a vedere, da quest’anno, primi segnali di parti che dichiarano di essere finanziate nei costi del procedimento. Si tratta di primissimi casi per valori di controversia molto elevati.

Quali misure avete preso come Camera Arbitrale di Milano?

Nell’ultima revisione del Regolamento CAM (2020) abbiamo introdotto un nuovo articolo, il 43, che prevede l’obbligo per le parti di dichiarare l’eventuale finanziamento e il nome del finanziatore, in   un’ottica di trasparenza. Soprattutto per permettere una completa disclosure da parte degli arbitri su eventuali circostanze, relative anche al soggetto finanziatore, che possano inficiare la loro indipendenza o imparzialità.

Quali sono gli scenari futuri che immaginate?

È probabile che l’uso del Tpf sia destinato a crescere, seppure gradualmente, nel nostro Paese. In ogni caso, la prospettiva con cui Camera Arbitrale di Milano, come istituzione, guarda a un fenomeno come questo, almeno per gli arbitrati, è così sintetizzabile: non si tratta di promuovere o favorire il fenomeno né, dall’altro lato, di rifiutarlo o respingerlo. Piuttosto, di regolarlo, soprattutto con riferimento alle garanzie di trasparenza del procedimento e di indipendenza e assenza di conflitti di interesse di chi è chiamato a decidere, cioè gli arbitri.

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