Unicredit apre alla trattativa con il ministero dell’Economia per l’acquisizione di Banca Monte dei Paschi di Siena.
L’annuncio è arrivato nella serata di ieri, dopo il termine del consiglio di amministrazione chiamato ad approvare i conti semestrali. Unicredit e il Mef, azionista di maggioranza di Mps con il 64%, “hanno approvato i presupposti per una potenziale operazione avente ad oggetto le attività commerciali di MPS, attraverso la definizione di un perimetro selezionato e di adeguate misure di mitigazione del rischio”, si legge nella nota, e per questo “avvieranno interlocuzioni in esclusiva per verificare la fattibilità dell’operazione”.
Una due diligence di 40 giorni in cui il ceo di Unicredit Andrea Orcel (nella foto a sx) valuterà il perimetro dell’acquisizione. Le premesse sono chiare: Mps sì, ma senza i rischi legali, ridotti da 10 a 6 miliardi grazie all’accordo della scorsa settimana con la Fondazione Mps e legati agli aumenti del 2011-2014-2015, senza i crediti deteriorati, che dovrebbero andare ad Amco, e con nessun impatto sul capitale, grazie alla dote del Tesoro da 2,2 miliardi di dta (crediti di imposta) e forse anche a un futuro aumento di capitale valutato nell’ordine di almeno 2 miliardi.
Tra i principali presupposti concordati tra Orcel, il ministro dell’Economia Daniele Franco e il direttore generale del Tesoro, Alessandro Rivera ci sono anche “un accrescimento significativo dell’utile per azione dopo aver considerato le possibili sinergie nette dell’operazione ed in ogni caso il mantenimento dei livelli attuali di utile per azione anche prima di tener conto delle possibili sinergie al 2023” e un “accordo sulla gestione del personale in funzione del compendio inerente all’esercizio delle attività commerciali, al fine di assicurare un’integrazione agevole, rapida ed efficace del business nel gruppo”.
La dote
Una potenziale operazione permetterebbe a Unicredit “di accelerare i piani di crescita organica e agevolare il raggiungimento di ritorni sostenibili superiori al costo del capitale”, spiega una nota. Mps porterebbe circa 3,9 milioni di clienti, 80 miliardi di crediti alla clientela, 87 miliardi di depositi, 62 miliardi di masse in gestione e 42 miliardi di masse in amministrazione. Inoltre il deal permetterebbe alla banca di Piazza Gae Aulenti di rafforzare il posizionamento competitivo in Italia e in particolare nel Centro-Nord, dove si trova il 77% degli sportelli di Mps, contribuendo fra l’altro a una crescita della quota di mercato in Toscana di 17 punti percentuali, in Lombardia e in Emilia Romagna di quattro punti percentuali e in Veneto di otto punti percentuali.
L’operazione porterebbe inoltre un incremento rilevante della profittabilità prospettica, preservando al contempo la posizione di capitale e migliorando la qualità dell’attivo e il profilo di rischio del gruppo su base pro forma. Qualsiasi potenziale operazione avverrebbe nell’ambito dell’esistente focalizzazione da parte del gruppo su liberazione del valore interno che rimane e rimarrà una priorità.
Quanto al marchio, Orcel, in conferenza stampa, ha detto che valuterà “la possibilità di acquistarlo”.
Unico interlocutore
Orcel è stato chiaro anche sui tempi: “Vogliamo arrivare a una conclusione, positiva o negativa, il prima possibile. Speriamo per metà settembre”, ha detto. Si tratta di un primo e preliminare passo, che seppur non vincolante è significativo perché da un lato sblocca un’impasse che durava da mesi, anche e non solo per le reticenze del precedente ceo di Unicredit Jean Pierre Mustier, e dall’altro potrebbe consentire al governo di rispettare gli impegni presi con la Bce di uscita da Mps entro il 2022. E soprattutto lo consente in anticipo sui risultati degli stress test dell’European Banking Authority, che arriverà nella serata di oggi e che probabilmente vedrà in capo a Mps un’elevata carenza di capitale.
Unicredit d’altronde era fin da subito sembrato l’unico interlocutore possibile dopo l’acquisizione di Ubi Banca da parte di Intesa Sanpaolo e il rifiuto di Banco Bpm, forse troppo piccolo per un’operazione del genere.
Potrebbe essere questa, dunque, la fine della banca più antica del mondo, con 549 anni di storia.