L’operatore di venture capital Panakès Partners (nella foto di copertina, Alessio Beverina, uno dei tre soci fondatori) ha effettuato il first closing a 150 milioni di euro del fondo Purple, il secondo lanciato dalla società.

Panakès Purple Fund, si legge in un comunicato, “è attualmente il più grande fondo di venture capital italiano in fase attiva di investimento e il più importante dedicato al solo settore life sciences in Italia, con un focus di investimento in Italia ed Europa, oltre a Regno Unito, Svizzera, Israele e Stati Uniti”.

Il primo fondo lanciato da Panakès Partners aveva raccolto circa 80 milioni di euro per sostenere aziende del settore medtech. Il primo fondo è stato investito in dodici startup innovative, che hanno ricevuto quasi 200 milioni di euro di finanziamenti.

Gli investitori

Hanno partecipato al nuovo fondo la totalità degli investitori nel primo fondo, oltre a nuovi investitori, tra i quali  i due Anchor Investors FEI e il fondo di fondi FoF VenturItaly di CDP Venture Capital Sgr. L’investimento del FEI è sostenuto dall’iniziativa InnovFin Equity della Commissione europea e dall’European Guarantee Fund (FEG).

A questi anchor investor hanno contribuito diverse fondazioni bancarie e fondi pensione italiani, oltre a numerose aziende e family office italiani del settore delle scienze della vita, tra cui Menarini, famiglia Cogliati (gruppo Elemaster), famiglia Colombo (gruppo Sapio), famiglia Rovati (Rottapharm Biotech), famiglia Petrone (gruppo Petrone), famiglia Re (gruppo Digitec), famiglia Bassani (gruppo Movi) e altre.

I capitali raccolti “saranno investiti in round A e oltre, per sostenere, prevalentemente in Italia e in Europa, aziende e imprenditori impegnati nello sviluppo di prodotti innovativi nei settori della diagnostica, dei dispositivi medicali e delle terapie biotecnologiche con anche attenzione al settore delle malattie epidemiche”.

Si sosterrà la crescita di aziende e imprenditori che rimodelleranno il mondo medico, rispondendo a bisogni medici reali, salvando vite e fornendo una migliore qualità della vita per i pazienti e gli operatori sanitari, con un impatto complessivamente positivo che produrrà valore intrinseco sia per gli investitori che per la società.

Per sostenere l’ampliamento al settore biotech, è previsto a breve l’ingresso di nuovi professionisti con significative esperienze in area terapeutica e una solida esperienza in aziende farmaceutiche, che andranno a rafforzare il team di Panakès Partners, attualmente composto da undici professionisti. Recentemente Barbara Castellano è stata promossa al ruolo di partner, mentre il team di gestione della sgr è stato rafforzato con l’arrivo di un nuovo Cfo, Lorenzo Giordano, e di un financial assistant, Andrea Steffanini.

Anche l’advisory board di Panakès è stato ampliato e rafforzato con la nomina di esperti del settore biotech e digital health: Fabio Pammolli, professore di Economia, Finanza e Management Science al Politecnico di Milano; e Sergio Abrignani, professore ordinario all’Istituto Nazionale di Genetica Molecolare di Milano.

Il commento a Dealflower

Raggiunto telefonicamente, Beverina sottolinea che “rispetto al primo fondo abbiamo dimostrato di essere capaci di raccogliere un fondo quasi doppio. Nelle scienze della vita occorre investire molti capitali”. Inoltre, aggiunge il founder e managing director (gli altri due sono Fabrizio Landi e Diana Saraceni), la raccolta del secondo fondo “ci permette di crescere come team passando da nove a tredici, aggiungendo capacità, expertise, seniority“.

Nei primi sei mesi dell’anno, Panakès ha già visto “oltre cinquecento opportunità di investimento“. Anche perché la società ha allargato il raggio d’azione al biotech. “Abbiamo un dealflow molto importante”, prosegue Beverina, “e contiamo di chiudere due-tre investimenti entro l’anno“. Il ticket medio di investimento in termini di equity del nuovo fondo sarà di 6-8 milioni; “qualcosa in più per i deal nel biotech”.

Beverina sottolinea che l’Italia rappresenta circa il 20% del dealflow di Panakès, “una cifra molto importante”, figlia del lavoro che è stato compiuto negli anni scorsi da fondi di fondi e altri operatori, che hanno fatto crescere delle aziende sino a una dimensione adatta a investimenti di early stage, non più technology transfer, “che è dove ci vogliamo collocare”.

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